A pagare il conto sono i più deboli, i potenti se la cavano sempre», dice al manifesto Andrea Haas, moglie dei sindacalista italo-brasiliano Enrique Pizzolato. Il marito è in carcere a Modena, in attesa di essere estradato in Brasile: per rispondere a una condanna a oltre 12 anni per un grande scandalo per tangenti ai politici, detto il Mensalao. Reati per cui si è sempre dichiarato innocente, vittima di un «processo viziato e senza possibilità di ricorso». Sul suo caso, ieri si è tenuta una conferenza stampa al Senato. Al tavolo, gli onorevoli Pd Luigi Manconi e Cecilia Guerra, l’avvocata Cecilia Lovi, e Andrea Haas.

Lovi ha ricapitolato i termini giuridici del caso e le «violazioni dei diritti fondamentali dell’imputato» che si sono verificate. Pizzolato, condannato nel 2012, è stato giudicato dal Supremo tribunale federale, il massimo organo competente per reati commessi da deputati e ministri, benché non ricoprisse alcuna carica politica. Era un sindacalista e un bancario. Nonostante il parere contrario di alcuni giudici, il procedimento non ha separato i politici imputati da quelli che non avevano incarichi di alcun genere. Non essendo prevista impugnazione per quel tipo di processo, a Pizzolato è stata vietata la possibilità di un secondo grado di giudizio. Diverse prove che avrebbero potuto dimostrare la sua innocenza sono finite «in un’indagine parallela coperta dal segreto istruttorio, e i difensori hanno potuto conoscere le prove a carico solo in un momento successivo».

Pizzolato si è rivolto alla Commissione interamericana dei diritti dell’uomo, e ha denunciato alla Corte europea «le violazioni subite e quelle che rischierebbe in caso venisse estradato». Per queste ragioni, il sindacalista ha deciso di fuggire in Italia «in cerca di giustizia» e sperando in un nuovo processo. Il 28 ottobre del 2014, la Corte d’Appello di Bologna ha negato l’estradizione, riconoscendo il pericolo che correrebbe nelle carceri brasiliane: quello di essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. Tuttavia, l’11 febbraio del 2015, la Corte di cassazione ha annullato la sentenza di Bologna senza rinvio. A quel punto Pizzolato si è costituito e ora è detenuto a Modena, in attesa di estradizione, accordata il 21 aprile dal Ministero della giustizia italiana.

E questo – denuncia Manconi – nonostante la legge brasiliana non consenta, per dettato costituzionale, l’estradizione dei cittadini brasiliani e quindi, per mancanza di reciprocità, l’Italia abbia in precedenza negato l’estradizione di un altro suo cittadino.Oltretutto, se il Brasile ratificasse il trattato già firmato dall’Italia, Pizzolato potrebbe scontare da noi la condanna. Il 23 giugno, il Consiglio di stato deciderà sul ricorso presentato da Pizzolato dopo la revoca della sospensione dell’estradizione. Entrerà nel merito del pericolo che correrebbe Pizzolato nelle carceri brasiliane, la cui pericolosità – ha detto la senatrice Guerra – è stata riconosciuta da autorevoli organismi internazionali.

«L’ultimo colloquio in carcere con Enrique è stato molto triste – ci racconta poi Andrea Haas – ci avevano detto che era tutto perduto, invece una volta fuori mi ha chiamato l’avvocato e ora possiamo sperare ancora. Nel processo, i politici imputati hanno avuto pene ridotte, mio marito è stato un capro espiatorio. Hanno voluto colpire lui per colpire l’allora presidente Lula. E i media hanno violentato il processo». La corruzione ai vertici della politica brasiliana? «Enrique è innocente e la verità, se ce ne danno l’occasione, verrà a galla. Quel che però mi fa paura è che nessuno sembra volersi interrogare sulle cause che producono il sistema di corruzione. Dietro l’astrattezza delle parole (di volta in volta, il comunista, il terrorista, il corrotto), si demonizzano persone e popoli senza comprendere. E si chiede la forca. Ma come si è arrivati a questo punto? Il Pt un tempo difendeva gli interessi dei lavoratori, ma adesso a chi rispondono certe persone che siedono in parlamento?».