Con la scomparsa di Ágnes Heller viene meno una delle interpreti più autorevoli della critica al sistema di Viktor Orbán. Brio e vivacità intellettuale hanno fatto di lei un punto di riferimento negli ambienti attivi, in Ungheria, nella difficile opera di resistenza all’involuzione antidemocratica che il paese sta conoscendo dal 2010. Sempre disponibile e pronta a fornire la sua analisi dei mali che oggi affliggono non solo lo Stato danubiano ma l’intera Europa, la Heller ci lascia un cospicuo patrimonio in termini di produzione intellettuale. Un’eredità di testimonianze scritte e orali rilasciate, queste ultime, nelle numerose lezioni accademiche e conferenze che la filosofa ha tenuto a lungo in svariati paesi, tra essi, spesso, l’Italia.

Noi del manifesto l’abbiamo incontrata più volte per riflettere insieme sulla complessa situazione in cui l’Ungheria si trova da quasi dieci anni a questa parte.

IL SUO GIUDIZIO SU ORBÁN è sempre stato netto e senza appello, la Heller ha visto in lui una sorta di interprete moderno del «bonapartismo». La definizione è presente nell’intervista che la filosofa ha rilasciato a Mariarosaria Sciglitano, per il nostro giornale, nel 2011 (Il silenzio ungherese, giugno 2011). In essa, tra l’altro, l’intellettuale parlava di falso populismo da parte del primo ministro ungherese e diceva che solo la sua retorica è populista. «Il suo governo non avvia trattative con i sindacati, non fa da tramite tra datori di lavoro e sindacati. Quello che è fondamentale per un potere populista è assente nel governo Orbán. Quindi non confondiamo la retorica con la politica de facto».

I sindacati, come la Maszsz, principale organizzazione ungherese del settore, non smentiscono, confermano il fatto che questo sistema di potere non brilla per dialogo con le parti sociali (da dire che nemmeno quello liberalsocialista eccelleva in questo campo) e che se l’Ungheria cresce economicamente, come recita certa ufficialità, la cosa è vera solo per pochi. Sono invece numerosi coloro i quali vivono in mezzo a notevoli difficoltà economiche, tema quest’ultimo al quale la Heller si è spesso riferita nei suoi commenti sullo stato delle cose in Ungheria, considerando basati semplicemente su slogan privi di aderenza alla realtà, gli interventi sbandierati dal governo per risolvere il problema della disoccupazione. Problema affrontato dall’esecutivo, in modo fittizio, col sistema dei lavori socialmente utili, sottopagati e privi di progettualità e di volontà di investimento nel mondo del lavoro.

Il tema delle libertà fondamentali è stato, poi, al centro delle riflessioni della filosofa sull’Ungheria di oggi. D’obbligo pertanto i riferimenti alla legge sulla stampa che per la Heller ha creato un sistema di censura che silenzia le voci critiche ed esclude il pluralismo, e sulla situazione in cui versa oggi la ricerca scientifica nel paese, piegata agli interessi del sistema a guida Fidesz.

A CHI LE CHIEDEVA di ricostruire la storia patria dal ritorno di Orbán al potere, la filosofa rispondeva che in questi anni è successo quello che lei aveva previsto nel 2010: il governo si è adoperato in ogni modo per concentrare il potere nelle sue mani dando luogo a un processo di annichilimento della libertà mediatica e dell’opposizione, ponendo fine alla vita di tutte le istituzioni che potevano contrastare la sua linea politica. A tale proposito ha sempre sottolineato l’assenza di alternativa e di un’opposizione realmente incisiva e il fatto che in Ungheria la sinistra non abbia nulla da dire e da proporre a fronte di un sistema che ha inaridito la vita politica del paese. Un sistema unicamente interessato al potere, come lo stesso Orbán, che per la Heller non ha ideali da difendere. A lui, secondo l’intellettuale, interessa solo il potere.

INTERVISTATA dal manifesto l’anno scorso, poco prima delle elezioni politiche, aveva parlato di declino del primo ministro e del suo sistema, analisi che, soprattutto alla luce dei risultati, può sembrare, magari, un po’ troppo ottimistica. Del resto la Heller in questi anni si è sempre esposta, senza risparmiarsi, anche a costo di apparire affrettata nelle sue conclusioni. Si è sempre offerta come quando alla richiesta di farsi fotografare ha risposto «fate pure, io dico sempre che di me potete fare quello che volete».