Non includendo le immagini truculente degli scenari di guerra in corso che divampano dal Medio Oriente al Nord Africa, la mostra fotografica su un secolo di guerre, apertasi a Padova, rischia di essere monca. Mai come in questi ultimi due anni (2014 e 2015) si sta assistendo al proliferare di rassegne, convegni, libri, documentari, sul ruolo della fotografia in rapporto al tema della guerra.
L’occasione è data dal primo conflitto mondiale che ha compiuto giusto un secolo. Il clou è previsto fra qualche mese con l’intervento del nostro paese, nel 1915 (il retorico 24 maggio), nel conflitto. Per iniziativa della fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, è stata allestita in palazzo del Monte di pietà della città patavina la mostra Questa è guerra! 100 anni di conflitti messi a fuoco dalla fotografia (visitabile fino al 31 maggio).

Il selezionatore Walter Guadagnini ha scelto centoventi immagini, fra quelle ritenute rappresentative dei molteplici conflitti scoppiati in un secolo. Si spazia da immagini-icone, come il refrain del miliziano colpito a morte di Bob Capa nella guerra civile spagnola, alle riprese di schermaglie da parte di cittadini anonimi in guerre regionali trascurate dai mezzi d’informazione e che invece, messe in rete, informano con minuzia su una piccola comunità o su una circoscritta entità geografica.

La rassegna si dipana attraverso la scansione cronologica degli eventi bellici del Novecento. Conclusi i conflitti mondiali della prima metà del secolo, ogni decennio successivo viene caratterizzato dalle guerre che vi sono scoppiate. Se gli anniCinquanta si identificano con la Corea e con l’Algeria, i Sessanta sono riconoscibili essenzialmente per il Vietnam; a cavallo di quei due decenni vanno anche comprese le insurrezioni nell’Africa nera per l’affrancamento dal colonialismo.

Seguono le guerre-lampo, a più riprese, israeliano-arabe e via via le lotte fratricide nell’ex Jugoslavia degli anni Novanta, l’attacco a New York dei primi del Duemila, i conflitti in Ucraina e di nuovo quelli nell’area del Medio Oriente. Intanto, la fotografia documentaristica presa dall’inviato di guerra, con l’informazione insita che trasmette, è diventata qualcosa d’altro. Semplicemente, forse, non esiste più, essendosi trasformata in una rappresentazione di pubblico spettacolo. Nei conflitti del XXI secolo sono gli stessi belligeranti a realizzare i filmati e a divulgare ciò che è ritenuto funzionale alla causa (prigionieri, torture, bombardamenti, esecuzioni).

Sulla linea del fronte non si trovano più, per dire, giornalisti alla Oriana Fallaci o fotografi come Gianfranco Moroldo che, in Vietnam, si mischiavano fra i soldati di fanteria americani, armati di registratore la prima e di apparecchio fotografico il secondo. La censura faceva il suo lavoro, anche allora, ma una cassetta o un rullino si riusciva sempre a far filtrare. Facendo sensazionalismo, poi, sui giornali.

La cosiddetta foto-documento (potrebbe però essere anche un video), oggi, o viene prodotta dal dilettante, ed è più o meno attendibile, altrimenti è interpretata (grazie al digitale è ormai gioco da ragazzi) dalle parti che si fronteggiano, a beneficio di un’utenza globale alla quale resta comunque ben poco del non già visto.

La fotografia di guerra portò con sé alcune innovazioni tecnologiche anche un secolo fa. Fu nel corso del conflitto 1914-18 che si sperimentò la foto aerea. Si andò affinando in sostanza la ripresa fotogrammetrica per l’osservazione e la raccolta di dati relativi a porzioni di territorio occupati dal nemico. La stessa macchina fotografica, da ingombrante e pesante attrezzo, si ridusse a oggetto maneggevole (prodotto dalla Kodak), alla stregua di un binocolo o di un’arma leggera come la pistola e dunque col vantaggio di essere utilizzata rapidamente e riprendere il soggetto in movimento.

Tutte le immagini sulla Grande Guerra esposte i mostra provengono dall’archivio museale della Terza armata (una delle unità maggiormente impegnate in quel conflitto) che si trova a Padova. Con la guerra di Spagna nasce la figura (talvolta mitizzata) del fotoreporter d’assalto che, a distanza ravvicinata, è testimone dell’evento. Il secondo conflitto mondiale farà da palestra, luttuosa, per schiere di giovani fotoreporter inviati sui vari fronti (Africa, Pacifico, Europa). Due su tutti: il già citato Capa ed Eugene Smith. Altri invece – Henri Cartier Bresson, August Sander, Ernst Haas, le cui foto sono presenti nel percorso allestito – racconteranno con le immagini le conseguenze sulle popolazioni civili.

Negli episodi bellici più recenti è invece la televisione a spadroneggiare. Come pure i filmati che finiscono in rete. Alla fotografia, strumento di espressione degli avvenimenti, ma anche della cronaca minuta, nel corso del Novecento è lasciato il compito della riflessione e del dibattito. Ma solo quando si tratta, e ciò accade di rado essendo tutto fotografabile (finanche il selfie è buttato nel calderone), di vera fotografia.