In Storia del popolo americano dal 1492 ad oggi, Howard Zinn scrive: «La storia di qualunque Paese nasconde la realtà di feroci conflitti d’interesse tra vincitori e vinti, padroni e schiavi, capitalisti e lavoratori. In questo mondo di vittime e carnefici le teste pensanti hanno il dovere di non stare dalla parte dei carnefici». Francesco Gallo, regista e documentarista calabrese, «fa la cosa giusta» e racconta la storia degli afroamericani, vittime di razzismo ed apartheid negli Usa. Lo fa da una prospettiva tutta nuova, quella dello sport. Perché puoi essere anche un vincente, una star o un campione olimpico, hai potuto fare incetta di trofei e medaglie in giro per il mondo, ma sei sempre un «negro». In un paese che sin dalla sua nascita, con quella Costituzione firmata da 55 uomini, tutti bianchi e ricchi, ha imposto una discriminazione razziale e una dominazione dei bianchi come mai altrove. Negri! Lo sport in Usa è un docufilm appassionante, 115 minuti densi, in cui storia e sport si miscelano.

Un’alchimia perfetta, un secolo di razzismo a stelle e strisce narrato attraverso le vicende dei più grandi atleti afroamericani. L’opera si è già aggiudicata il premio Miglior Documentario al Los Angeles Cinematografy Awards ed è stata selezionata al celebre FICTS (Federation International du Cinema et Television Sportif) di Nizza. Gallo ha preconizzato ciò che sarebbe accaduto appena qualche mese dopo aver ultimato il film. La rivolta dei Black lives matter, in seguito all’uccisione di George Floyd, la si decifra ancor meglio con le lenti d’ingrandimento offerte da boxe, atletica, football americano, basket e baseball. Sono discipline che hanno reso ricchi e famosi tanti atleti afroamericani. Ma non senza sofferenze e angherie. Persino al prezzo di crudi linciaggi e morti efferate.

Giovane studioso, sceneggiatore, produttore cinematografico, consulente per Rai Storia, Gallo ama narrare eventi storici e fenomeni sociali attraverso il racconto filmico dei protagonisti dello sport. I suoi documentari, carichi di ritmo e pathos, attraggono pubblico e riscuotono i favori della critica. Molto apprezzato Gigi che ripercorre la vicenda umana e sportiva del compianto Gigi Marulla attaccante del Cosenza. Il ’68 azzurro proietta la vittoria dell’Italia negli Europei di calcio nell’annata rivoluzionaria che sconvolse il pianeta. A pugni chiusi è la storia della boxe popolare a Cosenza. Ultimamente ha ottenuto premi all’Overtime Film Festival e al Matera Sport Film Festival. È autore di diversi saggi sulla storia dello sport: Copa America. Un secolo di storia, campioni e fútbol in America Latina, Jesse & Joe. Gli atleti che sconfissero Hitler, Il cinema racconta. Con Le dee di Olimpia ricostruisce il cammino delle atlete che hanno scritto la storia delle Olimpiadi.

Gallo tra qualche mese tornerà negli Usa. Sarà la consacrazione per il regista. E rimbalzerà potente il messaggio politico che permea il film. «Tutti noi abbiamo ancora impresse nella mente le terribili immagini dell’esecuzione di George Floyd» -ci dice- «Il virus del razzismo lì ha ucciso più persone del Coronavirus. Lo ha scritto anche l’ex campione dei Lakers, Kareem Abdul Jabbar, sulle colonne del L.A.Times: Il razzismo in America è come la polvere nell’aria. Sembra invisibile anche quando ti sta soffocando finché non lasci che entri il sole. Solo allora realizzi che è dappertutto. Fintanto che continueremo a far splendere quella luce, avremo la possibilità di pulire ovunque si posi». Anche il mondo in apparenza ovattato dello sport non è immune dal virus xenofobo. Tutt’altro.

«Da quattro secoli gli afroamericani sono considerati dalla maggior parte dell’America bianca semplicemente dei ’negri’. Qui sta la scelta provocatoria del titolo che ho voluto dare a questo documentario- spiega il regista- È una parola che è stata al centro della discussione intellettuale — e dunque non linguistica — su come gli afroamericani dovessero chiamare se stessi. William Du Bois, il più importante intellettuale afroamericano del Novecento, alla fine degli anni Trenta si schierò a favore della parola «Negro», purché scritta in maiuscolo. Fu così accettata dal cosiddetto Rinascimento di Harlem. Dunque «Negro» usato come sostantivo, in quanto persona dotata di sostanza, carne e ossa e non più come aggettivo squalificante».

L’idea del docufilm risale al 2018 al ritorno in Italia dopo un periodo vissuto per lavoro ad Amsterdam. «Mi ero appena lasciato alle spalle il glaciale vento del Mar del Nord, ricorda, per ritrovare qui, mio malgrado, un vento ben più gelido: quello di un’estrema destra xenofoba, intollerante e razzista, guidata da Matteo Salvini, che in quella estate teneva in ostaggio, da ministro, donne e bambini a bordo della Nave Diciotti, edificando il proprio consenso politico sull’odio razziale e sulla paura dell’immigrazione. Arrivò a smantellare persino il cosiddetto Modello Riace, simbolo internazionale dell’accoglienza. Notavo poi che, inevitabilmente, il clima d’intolleranza si rifletteva anche nello sport. Da autore cinematografico e storico, ho sentito l’urgenza di raccontare questa pericolosa e diffusa deriva culturale andando a rintracciarne le radici nel Paese in cui è più evidente il paradosso tra razzismo sistemico e culturale in contrapposizione all’eccellenza di afrodiscendenti nello sport: gli Stati Uniti».

Nel film, di cui è anche voce narrante, Gallo, dati alla mano, precisa che il tasso di episodi razziali in America non è mutato ma è stabile nel tempo. «Sono d’accordo con Lewis Hamilton quando sostiene che non è aumentato il razzismo, ma sono aumentati gli smartphone. Per cui con le telecamere sempre accese è più difficile per i poliziotti rimanere impuniti». Secondo Gallo il processo di liberazione dal razzismo nello sport sarà lungo e tortuoso. «È necessaria una rivoluzione culturale che parta dalle scuole, dalle palestre e dalle squadre giovanili di tutti le discipline».