Nel ventennale dell’attacco alle Torri Gemelle, Il Saggiatore pubblica un breve saggio di Joan Didion, Idee fisse (traduzione di Cristina Cecchi, pp. 59, € 12,00) il cui sottotitolo, L’America dopo l’11 settembre, farebbe pensare a una riflessione sulle conseguenze di quel catastrofico evento per la società e la politica americane nei due decenni trascorsi. Si tratta, invece, di un reportage che apparve sulla New York Review of Books nel 2003, in cui Didion, con la consueta lucidità, faceva il punto sulla politica, soprattutto estera, statunitense, tra settembre 2001 e i primi mesi del 2003, con numerosi e puntuali riferimenti a personaggi e situazioni che certo dovevano risultare familiari agli americani del tempo, ma molti dei quali oggi, specialmente a chi legge al di fuori degli Stati Uniti, appaiono sconosciuti (o, quanto meno, dimenticati).

Nessun raffronto con la realtà odierna nella prefazione di Frank Rich, anch’essa datata 2003, che si limita a chiosare e riassumere il testo di Didion. E tuttavia, proprio a partire da due osservazioni di Rich sull’allora sconosciuto prosieguo degli eventi, si può comprendere l’attualità di Idee fisse. La prefazione si apre affermando che «la storia dovrà spiegare perché l’America post 11 settembre sia stata tanto lesta a limitare la libertà di espressione» e si chiude constatando che «Il passo successivo di questa guerra può determinare solo quante delle nostre idee fisse anestetizzanti rimarranno intatte».

Il saggio di Didion, autentico manifesto di libera espressione, demolendo a una a una le risposte del potere al trauma collettivo, smaschera le derive nazionaliste, populiste, imperialiste e capitaliste di una narrazione che può facilmente trovare equivalenti nella realtà odierna, non solo americana. Le «idee fisse» del titolo, altrimenti definite «devozioni nazionali», vengono alla luce «ciascuna con le proprie paratie di invettive e controinvettive, di eufemismi e affermazioni del tutto false», attraverso un’analisi di quella retorica politica che tiene «in ostaggio» la razionalità, rielaborando e oscurando l’accaduto fino a renderlo «epurato di storia e perciò di significato… ridotto al sentimentale, a talismani protettivi, totem, ghirlande d’aglio, pietismi ripetuti che alla fine sarebbero risultati altrettanto distruttivi dell’evento stesso».

Nella celebrazione degli eroici pompieri, nell’insistita e paternalistica compassione per le famiglie dei defunti, nell’esaltazione della bandiera a stelle e strisce e nel rinnovato patriottismo, che si manifestano attraverso luoghi comuni sentimentali come l’immagine del cielo che «piange» per indicare la pioggia a una commemorazione dei defunti, Didion coglie «una consolidata tendenza a ignorare il significato dell’evento in favore di una celebrazione impenetrabile e livellante delle sue vittime, e di una fastidiosa e aggressiva idealizzazione dell’ignoranza storica». L’ignoranza persiste e ne paghiamo ancora le disastrose conseguenze.