Negli ultimi anni la ‘ndrangheta calabrese, è assurta agli onori delle cronache internazionali. Riviste economiche specializzate del calibro di Fortune la annoverano come la terza organizzazione criminale del mondo in termini di fatturato, immediatamente dopo la Solncevo russa e la camorra napoletana.
Contestualmente, una vasta letteratura sociologica, romanzesca e di genere, è fiorita per descrivere le gesta della nuova mafia che ha colonizzato, a pari merito con la consorella napoletana, l’immaginario collettivo. Nella maggior parte dei casi, si tratta di lavori impregnati di retorica sensazionalista o di spunti legalitari, sullo sfondo di una ‘ndrangheta rappresentata secondo lo schema tradizionale di interpretazione delle mafie. In altre parole, di rado si va più lontano della piovra o del cancro che aggrediscono la società sana.

IL LIBRO di Antonio Talia, Statale 106. Viaggio sulle strade segrete della ‘ndrangheta (Minimum Fax, pp. 320, euro 18), si colloca al di fuori di questo contesto, presentandosi come un lavoro che fa luce sulle cause dello sviluppo e della diffusione della ‘ndrangheta, senza fornire a chi legge percorsi scontati. L’autore realizza un vero e proprio road book, che, con una prospettiva quasi cinematografica, articola lo sguardo sulle ‘ndrine calabresi su due piani: quello locale, dove i gruppi criminali nascono e si sviluppano, e quello globale, dove proiettano i loro interessi. Ne viene fuori una genealogia spazio-temporale dell’universo ‘ndranghetistico, da cui affiora il reticolo di relazioni con la politica e con l’economia legale.

SORTA come organizzazione di auto-difesa del territorio su base familiare, la ‘ndrangheta acquisisce rendite di posizioni tali fino a diventare un soggetto cruciale per la definizione degli equilibri politici in Calabria. L’agire politico delle ‘ndrine si dispiega attraverso due percorsi complementari; il primo, è quello della pressione verso l’alto, con lo scopo di influenzare l’allocazione delle risorse pubbliche a proprio favore. In questa chiave va inteso l’omicidio Ligato, con l’ex presidente delle Ferrovie dello Stato a fungere da snodo per la politica clientelare della prima repubblica. Il porto di Gioia Tauro, la Liquigas Biochimica, la rivolta di Reggio, evidenziano intrecci complessi tra la criminalità organizzata, le destre eversive e la classe dirigente calabrese. Il punto di arrivo è rappresentato dal caso Fallara-Scopelliti, con le principali cosche reggine entrate, attraverso il lavoro alacre dei professionisti locali, in partnership col comune nella gestione delle municipalizzate.
L’altro percorso è rappresentato dalla mediazione politica esercitata dalle ‘ndrine per regolare le lotte di potere interne alla classe politica calabrese. Era così già nel 1869, con gli ‘ndranghetisti davanti ai seggi a orientare le scelte dell’elettorato a colpi di coltello. Non molto sembra cambiato oltre un secolo dopo, quando le indagini relative all’omicidio Fortugno mettono in luce una lotta intestina tra due gruppi di potere locale, che culmina nell’omicidio dell’allora vice-presidente del consiglio regionale per conto della cordata politica rivale.

SPOSTANDOCI sul versante dell’economia, spicca la dimensione internazionale assunta in questi anni dalla ‘ndrangheta. Mimetizzatisi tra le comunità calabresi sparse dall’Australia al Canada, da Milano al Sud America, le ‘ndrine cercano di sfruttare a proprio vantaggio le reti parentali e amicali che hanno origine nei paesi attraversati dalla statale 106. Si spiega così il salto di qualità compiuto nel commercio di stupefacenti. L’accumulazione criminale originaria dei proventi dei sequestri di persona viene investita nelle droghe, approfittando della debolezza e della perdita di reputazione subita da Cosa Nostra siciliana negli anni novanta del Novecento. I proventi vengono investiti in attività legali, dalle costruzioni alle attività finanziarie, o illegali, come l’usura. La redditività delle attività criminali non può prescindere dal coinvolgimento, sia diretto che indiretto, di commercialisti, avvocati e rispettabili finanzieri.
Le conseguenze, come nel caso Lawyer X scoppiato recentemente in Australia, arrivano ad essere delle vere e proprie crisi politiche, che chiamano in causa governatori, magistrati o dirigenti della polizia.
In questo contesto globalizzato, la ‘ndrangheta si comporta come una vera e propria corporation, che, per quanto operi in vari paesi e ormai si avvalga dell’attività di affiliati sempre più integrati nelle società di arrivo, continua ad avere il quartier generale nella sua sede originaria.

DAL LAVORO di Talia la ‘ndrangheta emerge come tutt’altro che un’anomalia della società contemporanea. Innanzitutto perché la sua organizzazione si struttura in maniera speculare rispetto agli attori delle economie lecite. In secondo luogo, perché gli attori della politica e dell’economia che si trovano a interagire con le ‘ndrine, sono più partner o complici che vittime. La via d’uscita viene suggerita dall’autore nelle cronache finali, con la proprietaria del caffè letterario di Reggio Calabria che ostinatamente si oppone alle imposizioni degli ‘ndranghetisti che hanno nel passato danneggiato le attività economiche del padre. Molti calabresi, melvillianamente, preferiscono di no. Purché non si isolino e non vengano isolati.