C’è un regista, l’Ismael (Mathieu Amalric) del titolo, che sta preparando un film sul fratello Ivan (Louis Garrel) diplomatico circondato da spie. C’è una donna, Sylvie (Charlotte Gaisnbourg), la compagna del regista, che lo ama e lo sostiene – «Voglio farti cadere la maschera, voglio rivelare il principe che è in te» gli sussurra prima di fare l’amore. E c’è un’altra donna, Carlotta (Marion Cotillard) che è la moglie del regista svanita vent’anni prima lasciando in un lutto senza fine, e senzauna tomba su cui piangere, marito e padre, un anziano regista ebreo molto ammirato (Làszlo Szabò) che Ismael considera il suo maestro.

Poi un giorno Carlotta riappare, alle domande urlate del marito – «C’era un altro?» – risponde che si sentiva pesante tra la sua isteria narcisista e quel padre ingombrante lei che non legge, che non si reputa intelligente, e alla nuova donna astrofisica di Ismael sempre col libro in mano sorride ballando da sola.

Les fantomes d’Ismael è il nuovo film di Arnaud Desplechin, lo scorso anno in apertura del festival di Cannes, ora nelle nostre sale nella stessa versione «corta» (meno di due ore) contro quella «director’s cut» di 2 ore e 10’ minuti uscita solo in alcune sale parigine e in dvd. Una pista possibile anche questa in un film che ne dissemina molte, scompone e ricompone in un dedalo cubista la sua narrazione tra desiderio, amori, famiglia, nomi e luoghi che si ripetono e cambiano in ogni film del regista.

Ismael e i suoi fantasmi sono un po’ (moltissimo) quelli di Desplechin a che nelle sue storie distilla autofinzione tra omaggi cinefili e frammenti imperfetti di vita, tic nevrotici e spigolosità dei personaggi, maschi e femmine che siano (pure se dal punto di vista «maschile») nella loro lotta perenne con lo stare al mondo.
Ismael il suo film non riesce a finirlo, scappa dal set dopo che la sua vita esplode col ritorno di Carlotta. L’incontro e l’inevitabile scontro tra le donne – con l’uomo in mezzo – il fantasma di Vertigo, i suoi misteri e la nostalgia dei vent’anni rimasti per sempre sospesi, e la nuova compagna con l’assoluta certezza dell«Io ti salverò» è però solo uno degli aspetti di questo film il più hitchcockiano dei suoi. Desplechin ha spiegato che per raccontare I fantasmi di Ismael a un amico gli ha detto che aveva l’impressione di avere inventato una «pila di piatti di storie per fracassarli sullo schermo, e quando i piatti erano tutti rotti finalmente il film era compiuto».

La questione fondamentale è infatti ancora una volta come raccontare una storia seguendo un movimento non lineare, avanti e indietro nel tempo, avanti e indietro nelle emozioni dei personaggi, anche a costo di irritare.

Il suo universo è saturo di riferimenti, attraversa continuamente la frontiera delle epoche, di realtà e finzione per interrogare il processo creativo, la sua intimità, il suo corpo, la sua politica, il suo pensiero. E questo anche a costo di eccessi, di quell’«imperfezione» che ne è la potente bellezza.