Il cinema di Francesco Dongiovanni, autodidatta classe 1978, custodisce uno sguardo tra i più limpidi di certa produzione audiovisiva italiana contemporanea lontana dalle estetiche normalizzate. Uno sguardo che, allo stesso tempo – perché è qui che avviene il movimento, che sorge la sua muta bellezza, il suo mistero più puro –, diventa gesto intimamente politico, è intendere e praticare il filmare come sotterranea, invisibile riscrittura. Densamente spopolata è la felicità, Elegie dall’inizio del mondo (Uomini e alberi è al momento il primo atto di una ricerca che comprenderà quasi sicuramente altri due episodi), Giano e, ora, Anapeson. Scritto dal regista...