Nei miei primi incubi infernali, a Londra, sognavo di fare a pezzi in una macelleria delle giovani ragazze dal seno prosperoso. Ridevano e facevano discorsi da ragazze, mentre tagliavo loro le braccia e le gambe, vendendoli come pezzi di carne ai clienti. Poi, sonnambulo o sveglio, vagavo per il cortile e incontravo due leoni maschi… Poi degli altissimi demoni d’ebano, in abiti da monaco bianchi con il cappuccio. Parlavano tramite un linguaggio telepatico. Tutto ciò mi ha colpito nel subconscio, nel mio cuore, nella mia anima, ma ha aggirato la parte percettiva della mia mente. I miei sogni più belli erano a colori.
Una studentessa dai capelli neri che indossava un gansey blu e camminava lungo un sentiero tortuoso nel West Cork, tra Coolea e Ballyvourney. Anni dopo l’ho incontrata al Royal Oak in Finchley Road. Adesso aveva sedici anni e i capelli erano cresciuti. Stavo festeggiando il compleanno di Spider insieme a lui e mi ero svuotato le tasche, come lui avrebbe fatto per me. Lei mi fissava. Ero sbalordito. Era quanto di più bello avessi mai visto e ovviamente era irraggiungibile… per cui alla fine ho detto: «Compra da bere a Spider per il suo compleanno, e anche a me, dai!». «Vai a fare in culo », è stata la sua arguta risposta nella lingua dei porci – non le dolci parole in gaelico che mi aspettavo dalla mia fanciulla irlandese di West Cork. Abbiamo riso entrambi e poi abbiamo continuato a fissarci per circa tre anni, parlando educatamente di tanto in tanto, mentre mi rendevo conto che non mi dispiaceva affatto, anzi, ero completamente e totalmente innamorato di lei. Nel frattempo sono arrivate fama e ricchezza, più di quanto avessi mai sognato. Per la prima volta nella mia vita mi sono sentito felice quasi quanto nel periodo della mia infanzia, che avevo stupidamente liquidato come un qualche sogno tinto di rosa.
Mi stavo gradualmente liberando del mio fardello – cinismo, amarezza, odio verso me stesso, razzismo, pregiudizio, senso di colpa cattolico, autocommiserazione – e stavo ritrovando la fede, Dio, il rispetto di me stesso, l’umorismo e l’onestà.
E sono ancora sulla stessa strada, se Dio vuole. Come fai a sapere che E.T. è un protestante? Perché lo sembra, capisci che intendo? Mi ero anche appassionato al taoismo, al buddismo, allo zen ecc., cose che ho affiancato al libero pensiero cattolico, all’amore per l’Irlanda, all’odio verso il fascismo, il razzismo, i bigotti, il bullismo (soprattutto l’imperialismo), l’intolleranza, la logica dell’ateismo e la stupidità, e dopo qualche gran bella conversazione con Vic al Devonshire Arms di Camden, dove la incrociavo tutte le sere e parlavo con lei mentre il suo ragazzo, un amico per cui stavo rapidamente perdendo il rispetto, si comportava come un completo stronzo e abbordava le altre donne davanti a lei, un amico comune, Paul Ronan, uno dei tipi più spassosi che abbia mai incontrato, uno dei più sani di mente, che veniva dalla stessa parte di mondo di Vic (e di parecchie altre persone, tra cui Seán O’Ríada) ha deciso di voler giocare al Cupido e me l’ha fatta baciare nel giorno del suo diciannovesimo compleanno. E basta, è iniziato con un bacio, il colpo di fulmine, come lo chiamano i siciliani. Ho abbassato la guardia e mollato le circa sette donne che mi palleggiavo come uno stronzo, lei ha lasciato il suo fidanzato e abbiamo iniziato una storia d’amore folle e appassionata. Circa sedici anni dopo la amo più che mai, più di tutta la mia famiglia e di tutti i miei amici vivi, morti o in Amerika. Le devo la mia salute, la mia sanità mentale e la mia felicità. Il mio sangue ribolle ancora quando penso a lei, cioè quasi sempre. Odio vederla triste, amo vederla felice mentre beve, mangia, ride e parla – e ballare con lei, parlare con lei e dormire con lei è come stare in Paradiso. Dio benedica il giorno in cui l’ho trovata, mi sento lo stronzo più fortunato di questa Terra.

PARENTI
È notte in un rustico cottage irlandese. Un vento feroce e loquace squarcia, senza pietà e senza allegria, il semplice tetto di paglia. Un fuoco sfrontato illumina con audacia le ombre. Dalle ceneri emerge, magnifico, un viso luminoso. Una mano tremante picchietta con sicurezza una sigaretta sulla sudicia gamba di un pantalone. Un’altra, ugualmente pallida e annerita, stringe una bottiglia di gin, mezza piena o mezza vuota, a seconda di come la si guarda. Shane MacGowan, appoggiato alla parete imbiancata, osserva in contemplazione il ritratto di papa Giovanni, sputa nelle fiamme soddisfatto, si schiarisce la voce in maniera arida e si rivolge alla sua compagna. Mio zio John non parlava molto. Si sedeva qui, spolverava il berretto sbattendoselo sul ginocchio e picchiettava la pipa, imprecando sottovoce. La sua compagna, Victoria, una bellezza fragile ed eterea come non se ne vedranno mai più, annuisce con un po’ di ansia e deglutisce con delicatezza. Shane la guarda, insistentemente, e continua. Mio zio Jim si incazzava perché eravamo in troppi. In questa casa ci vivevano quattordici persone, ed è una casa piccola, come puoi vedere.
(…) Quindi doveva dormire nei pagliai, sotto la pioggia, capisci? Magari stavi giocando nei pagliai e all’improvviso ti rendevi conto che lo zio Jim era sdraiato lì, sotto il fieno, sul telone. Dormiva nel pagliaio o nello stesso letto dello zio John, e di norma lo zio John litigava nel sonno: «Fottetevi, io vi ammazzo, vaffanculo,stronzi!».

LATTE E BIRRA
Chi era il lattaio? Hai detto qualcosa su un lattaio?
Tommy Keane, il lattaio. Era un altro ragazzo che mi faceva saltellare sulle ginocchia.
Ti capitava spesso?
Mi facevano saltellare molto, sì. Saltavo spesso sulle ginocchia della gente. E lui era sempre ubriaco fradicio. Passava a prendere il latte, sai.
A consegnarlo.
No, a prenderlo. Il latte in eccesso che mungevi dalle mucche lo davi a lui, che lo metteva in grossi bidoni e lo andava a vendere per te in città. Il fatto è che passava ogni mattina verso le tre o le quattro, proprio mentre stavamo spegnendo il fuoco, e tutti si stavano preparando per andare a letto. Cioè, chi non ci andava non si preparava, perché molti non ci andavano. Io non ci andavo spesso. E Tommy si presentava ubriaco fradicio alle tre o alle quattro del mattino. Arrivava e diceva: «Scusate se vi ho svegliato. Mi dispiace farvi alzare. Mi dispiace non farvi dormire».
Ma non era davvero dispiaciuto, no?
Gli dispiaceva, ma voleva compagnia. Perché non aveva… tutti i suoi amici erano in stato comatoso, capisci cosa intendo. Era uno di quelli che sono capaci di bere tutta la notte. Così si sedeva in cucina per un paio d’ore e io gli davo un’altra bottiglia di stout, il che significava che potevo prenderne un’altra anche io.
Quanti anni avevi?
Credo circa cinque anni.
Cinque?! E prendevi un’altra bottiglia di stout?!
Sì.
E quante bottiglie avevi già bevuto?
Due.
Due!?!?
Sì.
Accidenti. Sono tante per un bambino.
Ne bevevo due a notte.
Due a notte?
Sì.
E chi te le dava?
Mio zio John. Le portava dal pub… quando tornava dal pub.
Quindi era piuttosto tardi.
Sì. Tornava dal pub verso l’una del mattino.
E tu eri ancora sveglio.
Sì, ero ancora sveglio.

*Autrice del libro «Una pinta con Shane MacGowan» (Tsunami), di cui pubblichiamo qui un estratto