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Un provvedimento a metà, non all’altezza della crisi

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Commento È stata sconfitta l’idea populista del fisco, assegnando al fisco, alle detrazioni al lavoro dipendente un ruolo centrale. Aspettiamo la politica economica

Pubblicato più di 10 anni faEdizione del 19 aprile 2014

Andando oltre gli slogan e luoghi comuni, spesso si parla di fisco come se la struttura e l’organizzazione fiscale dello stato fosse estranea al sistema economico e ai principi maturati nel corso dell’ultimo secolo. I tributi si sono sempre adattati ai modi di produzione e agli assetti patrimoniali emergenti dal sistema economico, combinandosi con l’evoluzione del diritto, diventato sempre di più diritto positivo. Nel dibattito osservo troppa “approssimazione”. Si assegna al fisco un ruolo “salvifico” che mal si concilia con il ruolo storico delle imposte e delle tasse: fare pagare le tasse in misura proporzionale al reddito.

Sono le spese pubbliche e l’erogazione dei beni di merito (scuola, sanità, ecc.) che permettono, più della riduzione delle tasse, la crescita reale del reddito disponibile dei cittadini. In qualche modo i diritti positivi, cioè i servizi per tutti senza nessuna “corresponsione” individuale, hanno permesso lo sviluppo dell’attuale organizzazione sociale. Diversamente dai luoghi comuni, meno tasse uguale a più sviluppo, un basso livello di tassazione non corrisponde un maggior benessere per i cittadini. Tanto più la società è complessa, tanto più è necessario adeguare non solo il livello del prelievo fiscale, ma gli stessi presupposti (che cosa) di imposta.

In qualche modo il livello e la qualità della vita dei cittadini è legata al livello e al target della tassazione e, più in generale, al peso delle entrate fiscali sul pil. Mi rendo conto di sostenere una tesi «controcorrente», ma tanto più è “coerente” la pressione fiscale, tanto più sarà possibile soddisfare i diritti positivi, cioè i diritti «presi sul serio». Non diritti qualsiasi, ma diritti positivi che hanno come finalità «la libertà dal bisogno» dei cittadini.

L’alta pressione fiscale non è estranea al pensiero liberale, piuttosto è funzionale agli obiettivi che una società moderna vuole darsi.

[do action=”quote” autore=”Lord Acton, Storia della libertà, 1884″]«Il miglior criterio in base al quale giudicare se un paese è veramente libero è il grado di sicurezza che in esso godono le minoranze»[/do]

Le tasse, inoltre, servono a creare una società più giusta: “Se non si fosse strutturato il diritto positivo, quale situazione sociale avremmo oggi e di quale libertà godremmo se attraverso l’intervento regolatore non fosse promossa l’equità di quello che alcuni economisti chiamano lo scambio fiscale, e se non si fossero garantiti, insieme ai diritti proprietari, anche i cosiddetti diritti “presi sul serio”, cioè i diritti di libertà dal bisogno? (Franco Gallo, Le ragioni del fisco, etica e giustizia nella tassazione, Il mulino, 2007).

Quando si sostiene la necessità di ridurre le tasse su alcune categorie di contribuenti occorre prestare molta attenzione. Nel pensiero liberista i tributi sono visti come uno strumento di finanziamento della spesa per la sicurezza e la protezione dei diritti proprietari, ma trascura le libertà positive civili e sociali, cioè le libertà fruibili da ciascun individuo nell’uguaglianza, che trovano il loro limite nella libertà degli altri e, soprattutto, non riducono l’autorità dello stato legandola “all’autorità” dei cittadini. Se si ritiene che la libertà si espande in senso positivo nella società solo se la si associa a obiettivi di uguaglianza, il tributo nelle moderne economie è lo strumento più idoneo per conseguire il fine egualitario.

Dubito che il primo Ministro Renzi abbia una qualche consapevolezza dei principi che sottendono l’ordinamento fiscale del Paese. Lo scambio tra “riduzione dei servizi fruibili” via taglio della spesa pubblica e maggiore reddito disponibile via aumento delle detrazioni da lavoro dipendente, dovrebbe essere valutato con maggiore cautela.
Nel frattempo registro un arretramento, positivo, dall’impianto suggerito qualche giorno addietro dallo stesso Renzi: si utilizzeranno le detrazioni per lavoro dipendente per i redditi fino a 25.000 euro. In un modo o nell’altro l’art. 53 della Costituzione ha vanificato l’impianto regressivo del progetto iniziale.

Non tutti i lavoratori beneficeranno della detrazione. Sicuramente i co.co.co, gli interinali e il lavoro a tempo determinato, ma le false partite IVA e il lavoro autonomo eterodiretto non potranno intercettare le detrazioni. Scompaiano gli incapienti che erano stati considerati in prima battuta. Saranno interessati da un provvedimento ad hoc, anche perché in Italia non esiste l’imposta negativa. In questo modo si riduce la platea di riferimento da 15 mln di persone a 10 mln. In questo modo la progressione delle detrazioni si avvicina agli 80 euro “pubblicizzati” da più di 2 mesi.

Il finanziamento della misura è un combinato di nuove entrate, per esempio la tassazione della rendita dal 20 al 26% per finanziare la riduzione dell’IRAP, l’aumento delle aliquote a carico del sistema creditizio in ragione della rivalutazione delle quote di Banca d’Italia, l’IVA relativa ai debiti pregressi della pubblica amministrazione, e tagli alla spesa, per esempio enti locali (2,1 mld), difesa (400 milioni), incentivi alle imprese (pubbliche), acquisti di beni e servizi. Complessivamente una operazione da 6,9 mld nel 2014 e 15 mld nel 2015. Piccola battuta. Non ci sono tagli alla sanità? Non lo farà il ministero ma le regioni che vedono ridotte le loro risorse di 700 milioni.

Sostanzialmente si prefigura lo scenario delineato da Cottarelli per ridurre il cuneo fiscale di due punti di PIL.
L’effetto economico della misura è contenuto. Si passa da una spesa certa che aumenta il PIL, ad una spesa incerta legata alla disponibilità dei lavoratori di spendere il reddito aggiuntivo disponibile. Un rischio, ancorché giustificato da un minimo di giustizia fiscale.

In attesa di una risposta di politica economica all’altezza della crisi, dobbiamo prendere quello che passa il convento. I vincoli costituzionali, l’art. 53 della Costituzione, hanno condotto a migliori consigli la presidenza del Consiglio. Di certo il governo Renzi non rispetta alcuni vincoli europei, in primis quello del debito. Nulla di più e nulla di meno.

È stata sconfitta l’idea populista del fisco, assegnando al fisco, alle detrazioni al lavoro dipendente un ruolo centrale. Aspettiamo la politica economica.

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