Nel Ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci Sigmund Freud analizzava un sogno raccontato da Leonardo nel Codice Atlantico: «Questo scriver sì distintamente del nibio par che sia mio destino perché ne la prima recordatione della mia infantia e’ mi pareva che essendo io in culla che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocha colla sua coda e molte volte mi percotessi con tal coda dentro le labbra». Il rapace ritorna anche nel Bestiario leonardesco del codice H di Parigi: «Del nibbio si legge che, quando esso vede i sua figlioli nel nido esser di troppa grassezza, che per invidia egli gli becca loro le coste e tiengli senza mangiare». Il genio del Rinascimento era dunque sensibile anche alla suggestione di elementi della cultura allegorica medievale. In particolare a un prontuario di interpretazione dei sogni, il Somniale Danielis, di cui Valerio Cappozzo (Dizionario dei sogni nel Medioevo Il Somniale Danielis in manoscritti letterari, Olschki, pp. XII-404, con 18 figg. n.t, e 35,00) ha pubblicato tre versioni latine e cinque volgarizzamenti italiani, compreso quello usato da Leonardo, che ne possedeva più edizioni: due bolognesi del 1487 e 1491 e una fiorentina del 1496, che ispirò le sue Profezie e di cui Cappozzo ha identificato la fonte nel manoscritto Riccardiano 1258. Leonardo era convinto che «vede più certa la cosa l’occhio ne’ sogni che colla immaginazione stando desto» (Codice Arundel), fondendo la credenza classica e biblica – che qualifica i sogni come strumento di composizione fra la realtà umana e la rivelazione soprannaturale –, con quella medievale, di derivazione orientale, che vi legge piuttosto messaggi morali e annunci decifrabili attraverso corrispondenze allegoriche basate comunque su un procedimento definito già nel Libro dei sogni di Artemidoro di Daldi (II sec. d.C.) come «accostamento di simili». Il titolo stesso si richiama al profeta Daniele, che nel libro biblico eponimo ascende la scala sociale grazie alla sua capacità di interpretare i sogni, così come Giuseppe alla corte del Faraone.

Meccanismo di rovesciamento
La forma originaria del Somniale risale a un testo greco del IV secolo d.C. tradotto in latino in età carolingia, come ancora attestano centinaia di manoscritti sparsi per tutta Europa, e poi in molte lingue moderne: per l’italiano sei codici, oltre le quattro edizioni a stampa. Alcuni di essi sono individuati e valorizzati per la prima volta in questa edizione, che offre le trascrizioni sia del testo latino di tre manoscritti fiorentini sia di quello (più esile) in volgare trasmesso in altri cinque, facendoli confluire poi in un Dizionario unico, corredato di apparati critici estesi ad altri testimoni, che presenta i simboli e i relativi significati riordinati in ordine alfabetico e dunque consultabili per lemma. Le soluzioni sono a volte banali come: piova vedere = abondanza, altre meno prevedibili e quasi sempre basate su un meccanismo di rovesciamento, come ballare e suonare vedere = impedimento e infermità oppure dì di festa vedere celebrare = sepultura di morto e però morto farsi = lunga vita, come si crede o almeno si ripete ancora oggi. Addirittura parlare con un filosofo significa danno o morte, mentre sognare il padre morto porta tranquillità e consolazione (chi ne ha esperienza potrà confermarlo, tranne Amleto), mangiare le ostriche annuncia ostacoli e i topi invece segnalano guadagni in arrivo. Spesso i significati delle diverse redazioni sembrano in contrasto perché basati su meccanismi opposti, di corrispondenza o contrapposizione. Ma il contrasto è solo apparente, perché il significato effettivo dipende da una serie di variabili spiegate in manuali che corredano il testo, come il Liber Physionomie del celebre averroista Michele Scoto, che attinge a tradizioni arabe secondo cui un sogno può avere significati differenti se si applica al presente o al passato oppure in base all’età del sognatore, all’ora del sogno – prima o dopo la digestione, collegando così la produzione e il senso dei simboli alla fisiologia del corpo umano e dei suoi umori. Nel Riccardiano oltre a queste due opere si legge la traduzione latina, prodotta da Leo Tuscus nel XII secolo, di un’altra celebre guida oniromantica, il libro bizantino dello pseudo-Achmet, che fornisce il significato di 199 elementi in ognuna delle tradizioni indiana, persiana ed egiziana, per un totale di 597 chiavi. A questi si aggiunge una raccolta di testi teorici sul sogno e di testimonianze bibliche (in particolare la scala di Giacobbe, Daniele e Giuseppe), che si chiudono col versetto dei Numeri 12, 6 «Se c’è fra di voi un profeta del Signore gli parlerò in sogno o attraverso una visione», accompagnato dal commento con cui Tommaso d’Aquino spiega che riusciremo a comprendere i nostri sogni quando il corpo, astraendosi dai sensi, sarà capace di abbandonarsi a essi senza ostacolarne l’immersione.

Formaggi, ceci, sedie, negozi
Cappozzo valorizza l’utilità del Somniale anche come chiave di accesso a elementi della vita quotidiana: formaggi e ceci, animali da fattoria e oggetti d’uso come chiavi e sedie, luoghi sociali come negozi e cimiteri. E tuttavia, data la stringatezza delle definizioni, le informazioni storiche che ne ricaviamo sono limitate. Più preziosa fonte di suggestioni impreviste è invece la prossimità del Somniale,nei manoscritti, con testi letterari che riportano sogni da interpretare: il codice Ashburnham 1724 insieme al dizionario dei sogni trascrive l’Acerba di Cecco d’Ascoli, poema astrologico che nel IV libro dedica un capitolo proprio alla decifrazione dei sogni e cita direttamente il Somniale. Il codice Martelli 12 trascrive dopo il Somniale il secondo, terzo e quarto sonetto della Vita Nova. Ed è noto che quello inaugurale (A ciascun’alma presa e gentil core) conteneva una visione (il sogno d’amore che dà da mangiare a Beatrice il cuore di Dante) sulla cui interpretazione rispondono i poeti interlocutori (come Dante da Maiano, Cino da Pistoia, Guido Cavalcanti). Analogamente, nel Vaticano Rossi 947 al Decameron segue il Somniale che secondo Cappozzo poteva servire alla decifrazione di sogni come la visione premonitrice di Lisabetta da Messina (IV 5), cui appare l’innamorato ucciso dai fratelli di lei, quella di Gabriotto (IV 6) che muore dopo aver sognato una capra uccisa da una veltra e quella di Talano d’Imola (IX 7), che sogna sua moglie assalita da un lupo, come poi avverrà. Su questi Cappozzo propone anzi un’applicazione diretta del Somniale: «Chol morto favellare significa lite» nel primo caso, che adombrerebbe la lite di Lisabetta coi fratelli; «Capra vedere significa spaçamento (eliminazione)» nel secondo e «Avederssi prender da lupo significa tratamento d’inganno» per Talano.
È così che il Somniale arriva a Leonardo da Vinci. Che quando vedeva il nibbio nel sogno d’infanzia poteva trovarne il senso nell’edizione di Bologna («Nebio videre = morte de’ toi parenti») e nelle fonti medievali del suo Bestiario. In entrambi i casi il nibbio risulta legato all’ambiente familiare e in particolare alle figure dei genitori. Lo stesso Freud, pur confondendo il nibbio con l’avvoltoio, interpretava l’inquietante sogno leonardiano come figurazione sessuale dell’allattamento al seno materno e perfino di una fellatio. Ma alla fine anche lui, ne L’interpretazione dei sogni, ammise che «qui ancora una volta abbiamo uno di quei casi non rari in cui un’antica credenza popolare tenacemente conservatasi sembra più vicina alla verità che non il giudizio scientifico vigente oggi». Il 9 luglio dello stesso anno (1504) in cui Leonardo annotava il sogno «genitoriale» del nibbio sul Codice Atlantico, suo padre morì.