«È naturale che il governo stia in mezzo a chi crea posti di lavoro». Il premier Matteo Renzi risponde così a chi gli chiede perché ieri non si sia recato al consueto forum annuale degli imprenditori di Cernobbio, mentre inaugura il nuovo stabilimento delle Rubinetterie Bonomi, a Gussago, nel bresciano. Una “frecciata” ai salotti buoni, un modo per accreditarsi tra le “persone vere”, quelle che stanno nella trincea di tutti i giorni, «a spaccarsi la schiena». Una parata che probabilmente avrebbe potuto funzionare meglio qualche mese fa.

Adesso, la fase è cambiata: il presidente del consiglio deve far fronte alle accuse di «annuncite»; la ripresa, passato già il primo semestre renziano, non accenna a farsi vedere; la disoccupazione non frena, l’Italia è in deflazione; è allarme sui i conti. Insomma, la kermesse alle rubinetterie oggi suona decisamente meno credibile.

Ma a parlare agli imprenditori di Cernobbio, è andato invece Alexis Tsipras, leader della sinistra radicale. «È tempo di rifondare la sinistra – ha detto – La sinistra politica e sociale è necessaria per la società, specialmente in questo periodo in cui l’ortodossia neoliberale ha fallito, non solo in Italia ma in tutta Europa». Al termine del dibattito a porte chiuse Tsipras non si è sottratto a domande più politiche. «Credo che anche una buona parte della base del Pd, che vota per Renzi, sia sulle posizioni della sinistra e si senta di sinistra. Non sono d’accordo con le scelte di Renzi, ma sono molto importanti perché spingeranno Renzi in una direzione più radicale e più di sinistra».

Spia delle difficoltà del governo, è stato il botta e risposta (a distanza) tra Massimo D’Alema e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Tra l’altro, è da notare, l’esecutivo, in un momento di debolezza sul fronte economico e di attacco da parte del sindacato (per le giuste richieste degli statali, fino allo sciopero minacciato dalla polizia), si vede costretto a rispondere non all’opposizione, ma a rappresentanti dello stesso Pd.

D’Alema aveva parlato di risultati del governo «non ancora soddisfacenti»: segnalando il pericolo che l’attivismo renziano rischia di tradursi in un pugno di mosche. «Se ho ben capito il presidente D’Alema ha detto che i risultati ancora non si vedono, concordo, si vedranno presto», ha replicato Padoan, dalla festa dell’Unità di Bologna, intervenendo a un dibattito.

A Cernobbio, comunque, come ogni anno si sono confrontati economisti, imprenditori, politici, per discutere della crisi, dell’Italia e dell’Europa: ma senza Renzi, appunto, e senza il ministro del Lavoro Giuliano Poletti – ha dato forfait, causa improvviso mal di schiena – come è pure a rischio la partecipazione, oggi, del titolare dell’Interno, Angelino Alfano.

In compenso è andato il pentastellato Gianroberto Casaleggio, invitato a un dibattito con la ministra dell’Istruzione, Stefania Giannini (lei c’era). L’esponente M5S è stato “zittito” dall’ex presidente Bce, Jean-Claude Trichet, che moderava la discussione: Trichet a un certo punto ha deciso di spegnergli il microfono, perché «prolisso e fuori tema», ha raccontato ai giornalisti chi era presente.

Ma al netto delle presenze e assenze, mentre Renzi inaugurava le rubinetterie bresciane, dall’altro lato a Cernobbio – a parte le conferenze e le teorie economiche – andava in scena una previsione piuttosto sconfortante, per il nostro Paese, sui prossimi mesi.

Gli imprenditori, intervistati per il consueto sondaggio flash che si svolge in platea, hanno rivelato che quasi il 70% non assumerà o addirittura licenzierà entro il 31 dicembre di quest’anno. Il 48,3% prevede che non ci sarà alcuna variazione nell’organico; il 23,8% ipotizza un aumento inferiore al 10% e il 7,7% un incremento superiore al 10%. Il 20,3%, sarà invece costretto a tagliare posti di lavoro.

Intanto il premier, che a Firenze aveva incontrato il gigante indiano dell’acciaio Sajjan Jinda, pronto a investire in Italia, cercava di allontanare i fantasmi, annunciando che il governo «andrà avanti con le riforme, costi quel che costi». Rispettando il 3%, ma «chiedendo più flessibilità».

E a Brescia ha fatto intendere di voler stare solo con l’Italia che si «spacca la schiena», quella che lavora davvero, e che non si pavoneggia ai dibattiti: «Mi dicono che non vado ai convegni. Se l’Italia è quella che è, è perché ci sono tanti uomini e tante donne nelle piccole e medie imprese che si sono spaccati la schiena e hanno creato le eccellenze».

D’altronde, a Cernobbio, Renzi avrebbe dovuto ascoltare anche il presidente uscente della Commissione Ue, Manuel Barroso, che un po’ lo ha bacchettato: «Sono stati fatti molti annunci ma nulla di concreto», ha detto, aggiungendo di apprezzare le riforme dei governi «Monti e Letta», ma che appunto ora tocca all’attuale esecutivo «completare il percorso». Comunque, Barroso ha pure apprezzato il programma dei 1000 giorni renziano, e ha detto che «la flessibilità è possibile, ed è già prevista, ma rispettando il patto di stabilità».

Ultima «gufata», ieri? L’avrebbe lanciata la segretaria della Cgil, Susanna Camusso: che ha notato come le politiche di Renzi siano «uguali a quelle di Tremonti, Monti e Letta, fatte cioè di tagli lineari, con il risultato che pagano “i soliti noti”». Cioè i dipendenti pubblici, i precari, i pensionati. Quelli che dalle crisi hanno solo da perdere.