Mentre si effettuano gli ultimi conteggi, i risultati delle amministrative nei 161 councils (comuni) inglesi e negli 11 dell’Irlanda del Nord confermano il quadro annunciato. Il temuto sfondamento dello United Kingdom Independent Party (Ukip) c’è stato, ed è lecito attendersi un loro grande risultato quando verrà diffuso – domenica sera – l’esito delle europee.

Al momento di andare in stampa, il Labour di Ed Miliband è in testa, con 1721 seggi (+271) nei consigli, seguito dai conservatori del premier David Cameron con 1186 (-190), e dai malconci liberal-democratici di Nick Clegg con 396 (-264). Quarto, ma unico reale vincitore, l’Ukip di Nigel Farage. Per loro nessun sindaco, ma un incremento di ben 151 seggi sparsi fra tutto il Paese, tranne a Londra. In coda i Verdi, con un guadagno di 16 seggi. L’affluenza è rimasta bassa, attorno al 35%.

Secondo le proiezioni della Bbc, se si votasse domani alle politiche il Labour avrebbe il 31%, i tories il 29%, i lib-dem il 13% e l’Ukip il 17%. Per questo i laburisti, vincitori nominali (hanno conseguito storici baluardi Tory come i ricchi quartieri londinesi di Fulham e Hammersmith), festeggiano con morigeratezza: grazie all’ottima performance a Londra, il loro è un buon risultato, ma non abbastanza da lasciar presagire una maggioranza alle politiche dell’anno prossimo.

Miliband è sotto pressione: forte il malumore della sinistra del partito, che lo accusa di aver commesso un imperdonabile errore di valutazione nello snobbare Farage, ritenendo che questi avrebbe rosicchiato soltanto la base dei tories e sarebbe stato un fuoco di paglia. Idem per Cameron, il cui partito si troverà ora costretto a fare patti locali con Farage, nonostante le smentite ufficiali. Vincitore a tutto tondo, l’Ukip è ormai una presenza stabile nella politica britannica, con cui bisognerà confrontarsi d’ora in avanti. L’ex broker ultraliberista ed euroscettico Farage ha portato un’accolita di ex-tories per i quali Cameron era troppo «moderno» a diventare una forza capace di sottrarre voti a destra e sinistra, soprattutto nelle zone ad alta densità d’immigrazione. Simbolica la loro conquista della contea dell’Essex (Est di Londra), storica roccaforte dei conservatori, ma si diffondono anche nel nord deindustrializzato.

A livello locale gli si schiudono ora anche delle prospettive di alleanze, così da spianare la strada ad una presenza in Parlamento. Solo Londra, citta multiculturale e unicum nella compagine socioeconomica nazionale, ha voltato loro le spalle, dando un massiccio consenso al Labour, lasciando sperare il ritorno di un sindaco laburista al posto di Boris Johnson.

Catastrofe annunciata invece per i lib-dem di Nick Clegg, che hanno avuto un’autentica emorragia di seggi: a Manchester sono stati del tutto spazzati via. Il loro è il peggiore risultato da metà anni duemila, quando erano sotto la leadership di uno dei predecessori di Clegg, Charles Kennedy. Clegg ha per ora escluso di dare le dimissioni.

Ora che l’Ukip si prepara ormai a entrare nel «pollaio di Westminster» (sono parole del leader), i partiti maggiori non possono più permettersi di guardare schifati dall’altra parte. Finora solo Clegg si era cimentato televisivamente con Farage, e con pessimi risultati. Ora tutti dovranno affrontare the elephant in the room, la presenza imbarazzante di un incomodo che si è finora simulato di ignorare: soprattutto ora che Farage ha finalmente deciso di candidarsi al Parlamento, dove il suo partito non ha ancora mai messo piede. Un quarto incomodo insomma, a insinuare ulteriormente la nobile arte della coalizione nella politica maggioritaria britannica.