La cartografia, come scrive lo storico Karl Schogel in Leggere il tempo nello spazio, nel corso degli ultimi decenni è diventata una nuova «fenomenologia dello spirito», visto che le mappe sono proiezioni del mondo che rispecchiano, così come i testi storici, il momento storico in cui sono state realizzate. È stata ridefinita la nozione di cartografia, utilizzata non solo da geografi, urbanisti e architetti per indagare territori e spazi geografici, ma da antropologi, scienziati, artisti e ricercatori per suggerire istanze critiche, ideologiche, esistenziali.
Consapevole di tale ricca, complessa e multidisciplinare ricerca culturale, indagata in una molteplicità di pubblicazioni e mostre internazionali, Treviso contemporanea presenta, fino al 29 maggio, tre mostre riguardanti mappe storiche e indagini cartografiche di artisti contemporanei.

A CA’ SCARPA è ospitata Mind the Map! Disegnare il mondo dall’XI al XXI secolo che raccoglie riproduzioni digitali di carte nautiche, piccole mappe pubblicate nei libri di preghiere del secolo XIII, oggetti rari, conservati in biblioteche nordamericane, europee e giapponesi, difficili da trasportare vista la loro fragilità, oltre a dipinti, arazzi e tappeti a tema geografico, appartenenti alle collezioni di Luciano Benetton. Curata da Massimo Rossi, la rassegna delinea un percorso storico iniziando con la sezione Non plus ultra, che cita lo statement «non procedere oltre» stampato nelle mappe antiche che segnavano la conoscenza del confine fisico e mentale delle Colonne d’Ercole, nello stretto di Gibilterra.
Seguono i mappamondi rinascimentali nella sezione Plus ultra, che documentano le scoperte geografiche e/o l’occupazione coloniale di terre da parte degli imperi occidentali, a seconda delle diverse letture della storia. Il mappamondo di Fra Mauro, ad esempio, è stato tra i primi a tracciare le navigazioni portoghesi lungo le coste occidentali dell’Africa, mostrando le comunicazioni tra il Mediterraneo e l’oceano indiano.
L’ultima parte prende il titolo del frontespizio del primo atlante moderno, Theatrum orbis terrarum, pubblicato ad Anversa da Abramo Ortelio nel 1570, e raccoglie oltre all’iconico atlante, altre significative testimonianze, come il mappamondo di Antonio Zatta e il rivoluzionario planisfero dello storico tedesco Arno Peters, realizzato per contrastare l’immagine eurocentrica del mondo, ereditata dalla storia coloniale europea e dalla proiezione conforme di Gerardus Mercator, disegnata per indicare ai mercanti le rotte marittime per i viaggi verso il Nuovo Mondo.
Per permettere che Europa, Asia Centrale e America del Nord potessero dominare l’immagine del mondo aveva allargato le aree del nord dell’equatore rispetto a quelle del sud. Peters corresse le scale relative tra i paesi, uniformandoli rispetto alla griglia geografica. La sua carta fu adottata dall’Unesco, dall’Unicef e da agenzie non governative, impegnate in attività a sostegno dei paesi in via di sviluppo.

Sarah Entwistle, «When I decide that you are lying», 2021 Courtesy l’artista e Galerie Barbara Thumm, Berlin foto di Jens Ziehe

LA MOSTRA TERMINA con Google Earth, dispositivo che ha cambiato il modo di vivere i territori e con un’intervista a Luciano Benetton, grande collezionista di mappe e di arte aborigena australiana, come testimonia la mostra Terra Incognita, ospitata nella Chiesa di San Teonisto, che raccoglie duecento tele dipinte di aborigeni australiani.
Alle Gallerie delle Prigioni, la collettiva Atlante temporaneo. Cartografie del sé nell’arte di oggi, a cura di Alfredo Cramerotti, raccoglie le opere di quattordici artisti che utilizzano la cartografia per indagare la propria identità in dialogo con istanze geopolitiche, sociali e esistenziali.
Estremamente diverse tra loro, le opere di Jeremy Deller spaziano dai diagrammi che tracciano storia e connessioni tra la scena della musica acid house fino a quella delle bande di ottoni in Inghilterra. Attivano entrambe azioni comunitarie, la prima con rave party illegali, la seconda partecipe e solidale con gli scioperi e le rivendicazioni sindacali della classe operaia inglese.

L’INSTALLAZIONE di Ibrahim Mahama è composta di documenti e oggetti ritrovati in edifici dismessi in Ghana, suo paese d’origine. Fantasmi di un passato che parlano della storia del colonialismo, del commercio del cacao, di migrazioni e scambi culturali. Edifici abbandonati che Mahama riconverte in luoghi di formazione per le comunità locali. Walid Raad presenta immagini di Beirut acquistate in un mercato delle pulci di Beirut nel 1994. Ciò che ha incuriosito Raad sono le scritte a mano sulle foto, testimonianze di un vissuto che non gli appartiene, ma in cui ritrova la storia e la documentazione della città. La ricerca di Raad indaga il confine tra finzione e documentazione, e segue le suggestioni del poeta Adonis quando scrive che la capitale libanese non è il luogo della memoria ma della distruzione, segnato da una miopia invalidante, che si manifesta attraverso la violenza ai danni dello spazio. Sanford Biggers interviene su trapunte e antichi quilts, utilizzati come «codici segreti» e indicazioni territoriali nell’Underground Railroad, rete informale di strade e case sicure creata dagli schiavi afroamericani in fuga verso gli «Stati liberi».

ALTRETTANTO INTERESSATA alla storia sociale declinata su percorsi esistenziali è Kiki Smith, attiva già negli anni ’80, con David Wojnarowicz nella scena artistica newyorkese underground, con azioni partecipate e l’organizzazione di mostre collettive con Collaborative Projects Inc. Dopo essersi occupata della corporeità e in particolare del corpo femminile, Smith negli ultimi anni si è avvicinata a questioni ambientali, come dimostrano le quattro calcografie presenti in mostra.
«Penso che il mio lavoro sia cambiato a causa di una maggiore analisi dell’ecosistema – dice Kiki Smith – Un evento significativo è stata la visita al Peabody Museum di storia naturale di Harvard, dove ho disegnato molti degli animali presenti nel museo. Fui accompagnata da una scienziata che mi parlava delle estinzioni dei mammiferi nel prossimo futuro. Mi ha molto colpita».
Le sue opere nascono da riflessioni sulla contemporaneità, ma anche dalla lettura delle fiabe di Perrault e dei fratelli Grimm. «Alcune immagini influenzano i miei pensieri, ma non è facile ritrovarle nel mio lavoro – continua l’artista – . Mi è piaciuto molto Stalker di Tarkovsky, il film Invisible Adversaries di Valie Export e il Labirinto del fauno di Guillermo del Toro. Recentemente ho sognato l’Arca di Noè, trasformata però in una chiatta di cadaveri. Viviamo in un periodo triste in cui siamo sappiamo quello che stiamo perdendo, ne siamo consapevoli, ma non facciamo abbastanza per cambiarne il corso degli eventi. Così ci lamentiamo piuttosto che indignarci, ci accontentiamo del lutto piuttosto della rivoluzione e la rassegnazione prende il posto della rivolta»