Se il riscaldamento del clima rimanesse al di sotto di 1,5 gradi rispetto all’era pre-industriale, invece di arrivare a due gradi come previsto dall’accordo di Parigi, il Pil mondiale aumenterebbe di circa ventimila miliardi di dollari, dieci volte quello dell’Italia.

Se ne avvantaggerebbero il 71% dei paesi mondiali, corrispondenti al 90% della popolazione.

È la stima di una ricerca apparsa sulla rivista Nature e firmata da Marshall Burke, Matthew Davis e Noah Diffenbaugh dell’università di Stanford.

Lo studio si basa sull’analisi statistica dell’impatto della temperatura sul Pil di ciascun paese nei decenni passati e la proietta sul futuro, usando le più accreditate previsioni dell’evoluzione climatica.

Nei paesi della fascia equatoriale, limitare il riscaldamento conduce ad un aumento del Pil pro-capite del 10-15% entro il 2100, mentre nelle zone fredde (dall’Europa centrale in su) l’effetto si inverte.

Dunque, a guadagnarne di più sarebbero le popolazioni in via di sviluppo di India, Pakistan, Sudest Asiatico, Africa e America Latina.

È una dimostrazione del fatto che le politiche ambientali hanno ricadute positive anche nella redistribuzione globale della ricchezza.

Come ammettono gli stessi autori, le loro previsioni hanno un valore probabilistico ed evidenziano tendenze generali, più che valori precisi su cui scommettere. Da qui a cento anni molte variabili possono modificare il quadro complesso dell’economia mondiale.

Si tratta dell’ennesimo tentativo della comunità scientifica di spiegare alla politica che raffreddare il pianeta è un obiettivo non solo giusto, ma anche vantaggioso.

I ripetuti appelli in questa direzione finora hanno sortito pochi effetti. Finora la recessione ha frenato le emissioni dei gas serra più delle politiche di riconversione ecologica. Sulla base delle misure avviate, i climatologi prevedono che la temperatura mondiale aumenti di tre gradi, ben oltre l’obiettivo di Parigi.

Le mappe dei ricercatori di Stanford forniscono anche qualche informazione interessante sul piano della diplomazia. Infatti, tra i pochi paesi che hanno tutto da guadagnare da un clima ancora più caldo c’è la Russia, dove le temperature elevate potrebbero alzare il Pil pro-capite del 30% a fine secolo.

Sul lungo termine, ciò complicherà la ricerca di accordi multilaterali più stringenti, in una fase già segnata dal protezionismo e dall’instabilità geopolitica.

La Russia, infatti, è il quarto paese al mondo per emissioni di gas serra ma a causa del crollo industriale post-sovietico risulta ancora tra i paesi più «virtuosi» e fa poco o nulla dal punto di vista ambientale. Inoltre, è il primo paese nell’esportazione del gas e il secondo in quella del petrolio. Convincerla che raffreddare il pianeta è una priorità sarà sempre più difficile.