Oggi il consiglio di amministrazione della Rai discute il «Piano industriale», finalizzato a ridefinire anche la forma organizzativa del servizio pubblico. Sarà vera gloria? Chissà. Tuttavia, le premesse sono le peggiori possibili.

L’amministratore delegato Salini è titolare di tale arduo compito, ma le cronache dei giorni passati sono dense di racconti di stop and go, di secchi interventi sul testo del presidente Foa, di malumori diffusi cui hanno dato voce la consigliera Borioni e il collega espresso dai dipendenti Laganà. Cui si aggiunge l’inquietante incontro tra lo stesso Salini e il vicepremier Salvini, iniziativa contraria a qualsiasi prassi corretta essendo altro il dicastero (Economia) competente.

Risalta il grottesco esito della leggina autoritaria (n.220 del dicembre 2015) voluta dall’altro Matteo – Renzi – proprio per affidare all’ad di viale Mazzini un potere pressoché assoluto, sfidando apertamente la consolidata giurisprudenza costituzionale tesa costantemente a ribadire il primato del parlamento. Ecco, un flop dietro l’altro. Il «capo azienda» costretto a mediare all’infinito il piano. Quest’ultimo, depurato dalla parte inerente alle news perché «sovversiva» rispetto agli attuali equilibri di maggioranza, arriva già dimezzato.

Si legge che rimarrebbe un improbabile coordinatore degli approfondimenti, alcuni dei quali sfuggono all’ordine dominante. Va ricordato che il capitolo dell’informazione, considerato dal sistema politico l’eldorado della rappresentazione (essendo in crisi la rappresentanza) è sempre stato tabù. Nella scorsa consiliatura il progetto approntato da Carlo Verdelli finì in soffitta e negli anni Ottanta ci lavorò a lungo – inascoltato – il compianto Roberto Morrione, che pure aveva immaginato uno schema davvero prefigurante.

Ciò che pare rimanere è, comunque, interessante. Si rompe il pre-concetto della suddivisione in reti, tra di loro in concorrenza come fortini separati. Si suggerisce una riorganizzazione orizzontale, sulla base di temi e format trasversali rispetto ai canali.

Farebbe bene a rivendicare diritti e copyright Renato Parascandolo (ex brillante direttore di «Rai educational») , che dalla fine degli anni Novanta insiste sulla necessità di ripensare la fisiologia della produzione e dell’offerta in modo «cross-mediale», vale a dire pensando la Rai come moderna impresa di servizio pubblico dell’età digitale. Vedremo in queste ore che accadrà. Del resto, in maniera virtuosa ciò un po’ è in atto anche ora, per esempio nella fiction, vero architrave del servizio pubblico. E fiore all’occhiello per qualità e successo di ascolto.

Naturalmente, va detta la verità e tutta la verità. Un simile meccanismo, al netto ovviamente dai facili rischi di proliferazione dei ruoli di comando di cui la Rai è maestra, ha senso se finalmente si mette mano all’ordito classico della televisione generalista italiana.

Caso unico al mondo, i due soggetti principali dispongono di tre reti a testa, formando un «cartello» duro e prepotente. Fu l’«omicidio perfetto» nell’età della prima repubblica analogica, quando il berlusconismo era nella parabola fortunata. Adesso, tutto ciò appare un reperto archeologico, di cui – guardando i palinsesti – non si capisce il senso a fronte della varietà delle piattaforme diffusive e dei forti mutamenti negli usi della fruizione, di cui ha opportunamente preso atto anche l’Auditel nelle sue rilevazioni.

Insomma, si può suggerire al consiglio di amministrazione di fare una «segnalazione» al governo e al parlamento: senza una nuova legge ogni piano è liquido.