Altro che «forza tranquilla»: il claim mitterrandiano che Renzi vuole utilizzare per il Pd al voto del 4 marzo per ora è una lontana aspirazione. Con il rischio di diventare presto una battuta di spirito.

A FINE ANNO I VERTICI del Pd (come quelli di tutte le forze politiche) sono alle prese con il puzzle delle candidature. I nomi dell’uninominale dovranno essere pronti fra il 15 e il 20 gennaio; per il proporzionale si potrà attendere ancora qualche giorno. Ma il crollo nei sondaggi ridimensiona di ora in ora il numero dei seggi papabili. Per non parlare della lotteria del Rosatellum che restringe quelli sicuri. Il sospetto che i pretoriani del capo stiano componendo le liste in «tranquilla» solitudine spinge il ministro Orlando a rispolverare la richiesta di una direzione sulle candidature avanzata – mai formalizzata – nel corso delle polemiche su Maria Elena Boschi. «A chiederlo non è la minoranza Pd, ma tutto il partito», dice ora.

UFFICIALMENTE LA ROAD MAP prevede un incontro di Renzi con i segretari regionali dopo l’8 marzo, un bis a Torino fra il il 12-13 gennaio con gli amministratori e infine il 14 a Milano con il ministro Calenda, il sindaco Sala e il candidato Giorgio Gori sul caso Lombardia. La direzione potrebbe essere convocata, ma nella seconda metà di gennaio: per ratificare le scelte già fatte.

MA LA «FORZA TRANQUILLA» tranquilla non è neanche sul fronte delle alleanze o, meglio, sul fronte di quel po’ di compagni di strada che il Pd è riuscito a convincere. Giovedì Renzi si è visto recapitare la mail di «Insieme» (nome scippato al duo Pisapia-Bersani e a quell’abbozzo di alleanza poi fallito fra i due). I promotori Bonelli, Nencini e Santagata chiedono con grande urgenza un confronto. Professano la propria «ispirazione ulivista» (ma Prodi ha intimato di togliere il logo dell’Ulivo dal loro simbolo), ricordano di aver partecipato «alle stagioni vincenti del centrosinistra» (non proprio da protagonisti in verità) e si dichiarano preoccupati «per l’assenza di un confronto politico e programmatico tra le forze della coalizione e in particolare per la difficoltà del Pd ad esercitare il ruolo di promotore e di collante». Tradotto: il paternalismo di Piero Fassino non li rassicura più, a loro non è arrivato neanche uno straccio di proposta. Renzi per ora non li prende neanche in considerazione: i personaggi non sono proprio di primissimo piano. Lui poi non è mai stato fan delle alleanze: si era rassegnato alla sceneggiata della coalizione fidandosi dell’appeal di Fassino. Con i noti risultati.

A DESTRA, OVVERO in quella che il Pd chiama «area moderata», ieri è arrivata la lista «Civica popolare» guidata da Beatrice Lorenzin e raggranellata da quel che resta di Ap, centristi, Idv e spiccioli. Anche in questo caso il simbolo va ritoccato: avevano hanno deciso di usare una margherita, ma gli eredi hanno subito intimato Lorenzin e parrocchia (fra i quali peraltro si farebbe fatica a trovare uno che abbia mai militato nella Margherita di Rutelli).

NEL FRATTEMPO I RADICALI attaccano la neoleader: la «indimenticabile ministra del fertility day» (la definizione è di Arturo Scotto, Leu) guardacaso si è «dimenticata» di depositare la relazione annuale al parlamento sull’applicazione della legge 194.

INTANTO A +EUROPA si vivono ore di sconcerto di fronte alla disinvoltura con cui il Pd maneggia il loro tentativo di lista. Bonino&Magi devono raccogliere le firme entro il 29 gennaio (lo stanno facendo, separatamente, anche quelli di Potere al popolo e di Sinistra Rivoluzionaria). Ma per farlo devono aspettare che il Pd decida i candidati dell’uninominale. Dal Pd arrivano messaggi rassicuranti (metteranno loro a disposizione forze e logistica per la raccolta) ma resta il punto politico: l’intenzione del Pd di procedere verso un «prendere o lasciare» è più che evidente.

I GUAI NON SONO ANCORA FINITI. In Lombardia il candidato Gori ha rotto il tavolo con Mdp forte dell’alleanza con l’area Pisapia: che però oggi rivela (ai distratti in precedenza) la sua fragilità. Insomma, Gori ha sbagliato alleato e si avvia alla sconfitta.

ASSAI PIÙ SAGGIO nel Lazio Nicola Zingaretti, che torna al voto nello stesso giorno delle politiche, nei giorni scorsi ha lanciato un appello per l’unità della coalizione. Qui Mdp è della partita: l’imput di D’Alema è stato chiarissimo. A non starci è però Sinistra italiana che vagheggia un’alternativa: il verde Paolo Cento, sostenuto da Stefano Fassina che dopo essere stato per anni uno degli uomini più vicini al governatore, da mesi ormai lo sottopone a una critica implacabile.

LEU RISCHIA DI ANDARE DIVISA nel Lazio e invece unita al voto politico rivelando da subito la sua natura fragile? Dopo Capodanno toccherà a Grasso la prima prova delle sue doti di leader. E sarà già una prova serissima.