Per molti la vita si riduce alla routine quotidiana e il matrimonio è una lotta dove non c’è nulla da vincere. Il sodalizio di Christo Yavachev e Jeanne-Claude Denat de Guillebon, nati la sera dello stesso giorno, 13 giugno 1935, lui a Gabrovo, Bulgaria, lei a Casablanca, Marocco, entrambi profughi, mostra il contrario. Anche in condizioni di estrema povertà questi due cittadini del mondo, mano nella mano, hanno viaggiato e ricercato. Sono stati capaci, per 45 anni, di provare e far provare meraviglia.
«È lei che mi permette di essere folle!», esclamava Christo. L’imballaggio di monumenti, edifici storici, coste e musei trasformati in sculture ambientali – per cui l’artista è noto – va oltre il fatto di rivelare l’inosservato celandolo. Questa, forse, è la situazione di partenza di Christo, che ha colto in senso ironico l’effetto maestoso di macchinari e balle di fieno mascherati durante il «realismo» socialista, tra il 1954 e il ’56, quando era stato incaricato di selezionare gli esterni per l’industria cinematografica di Stato e di curare le scenografie per il teatro nazionale di Gabrovo.

I NONNI MATERNI, nazionalisti macedoni, avevano assistito allo smantellamento del loro Paese e, a Sofia, da separatisti, erano divenuti esperti dell’apparenza; il nonno paterno, Anani Yavachev, era un famoso scienziato bulgaro, fondatore dell’Istituto archeologico di Sofia; il padre di Christo, fisico e chimico, fondò un laboratorio di formule per il trattamento di tessuti. I primi impacchettamenti artistici di Christo, gli Inventory nel 1958 – barattoli di vernice vuoti e bottiglie di pigmenti avvolti da tele e legati con lo spago – trasformano i mezzi d’uso tipici della pittura in enigmatici oggetti di valore. E mutano il supporto tradizionale, la tela, di solito invisibile, in un contenente visibile, espressione di un’esistenza circoscritta e non duratura ma transitoria.

Christo artifica le fasi di disartificazione, quando l’opera è imballata prima e dopo il suo disvelamento. Valorizza il tempo opaco della transizione – l’artista era fuggito dalla Bulgaria a Vienna su un carro merci, pieno per metà di scatoloni impilati alti due metri – e muove una critica alla «mummificazione» dell’arte: l’oggetto artistico, lontano dal luogo delle propria genesi, sigillato dentro un museo, parla con voce alterata, soffocata o forse tace del tutto. Gli Store Fronts (1963), vetrine a dimensione reale oscurate da tessuti, sviluppano questo pensiero associando arte e mercato. Ma fin qui restiamo nella produzione personale di Christo.

Jeanne-Claude, figlia di Précilda de Guillebon, primo ufficiale donna nella Parigi risorta dall’occupazione nazista e sposata in quarte nozze all’influente generale Jacques de Guillebon, lo aiuterà a pensare in grande. Con Christo dal 1959, anche lei soggetta nell’infanzia a continui traslochi, a vivere il mutamento dei confini e delle frontiere, compie l’impresa di prendere in prestito spazi del mondo reale pubblici, rigidamente codificati e che non fanno parte del sistema artistico.

AI DISEGNI DI CHRISTO, che testano e tessono i potenziali turbamenti dei territori, seguono scelte congiunte sui tessuti e sulle funi, e decisioni di Jeanne-Claude per tradurre questi test in opere. Cyril, il primogenito naturale della coppia, poeta, fotografo e regista, ha avuto «dei fratelli esigenti». Ogni progetto, per Christo e Jeanne-Claude, «diventa un nuovo figlio» (Burt Chernow).
Nel 1969, a Sydney, Little Bay, assunti 15 rocciatori professionisti e 110 operai e stesi 92.900 mq di Sarlon Erosion Control Mesh, un tessuto sintetico, a maglia larga e color paglia, su 2.4 km di costa con 56 km di funi, nasce Wrapped Coast: un’enorme tela calpestabile di scogli, onde e vento che respira e si increspa, in un paesaggio lunare pronto, per dieci settimane, ad avventure tattili, soste e passeggiate.

JEANNE-CLAUDE è stata l’«agente di Christo» (Leo Castelli), ha spianato la strada ai loro sogni di liberazione dalle costrizioni sociali, li ha implementati grazie a un «naturale talento imprenditoriale» (Torsten Lilja). Quell’essere «anche lei artista», barriera difficile da superare, si infrange nel vedere come ogni opera si è rivelata più forte dell’immaginazione di Christo e «ha costruito la propria realtà».
Così, tra il dire di voler impacchettare il Reichstag di Berlino e il farlo, con un tessuto grigio chiaro e lo strato più spesso in alluminio, superficie argentea che riflette di volta in volta il colore del cielo, c’è un mare di ostacoli. Dall’idea, nel 1971, alla realizzazione, nel 94, occorrono ventiquattro anni di permessi alle autorità, di vendite di collages e bozzetti per autofinanziare il progetto, di pulitura e ripristino del sito, di sartorie e carpenterie metalliche, di squadre di tecnici, di aziende specializzate nel riciclaggio dei materiali usati, di lettere personali ai membri del Parlamento tedesco, di esauriente documentazione di tutta l’esperienza.

PENSARE IN GRANDE, qui, progettare l’incommensurabile, non è tanto il travestire cose fuori misura rispetto ai canoni classici dell’arte, ma il combinare e aggregare, per la riuscita dell’evento, più attori umani e non umani, in un ergon, un’energia collettiva che sparisce in un attimo, ma che lascia immagini incancellabili, tramandate da fotografie, libri e film. È il motivo per cui Christo e Jeanne-Claude, per sovvenzionare i loro progetti, non hanno mai accettato sponsorizzazioni: le modalità del coinvolgere e coordinare vari gruppi di persone e del tradurne gli interventi in legami concreti sono la «cifra» dei Christo; non possono andare in delega a terzi. Jeanne-Claude ha gestito una «chimica» di rapporti ai limiti dell’impossibile, notando che «più scura è la pelle, più povera è la gente e più il progetto piace; più bianca è la pelle e più ricca è la gente, più il progetto è osteggiato». L’impacchettamento è solo il risultato finale, la forma visiva, dei legami con cui il Reichstag, fino a allora involucro vuoto, si è caricato di significati.

LA STESSA LOGICA governa la ricopertura, per 14 giorni, del Pont Neuf a Parigi, che ha richiesto dieci anni di trattative e accordi, dal 1975 al 1985: un capolavoro impressionista per le sfumature e i giochi di luce nella Senna, al mattino color paglia, nel tardo pomeriggio oro intenso. Ancora più sensuale, Surrounded Islands (1980-83) ha contornato undici isole di Biscayne Bay, Miami, con 603,870 mq di polipropilene rosa ecosostenibile. È la loro «opera» per eccellenza, perchè ha prodotto il maggior numero di relazioni umane e, con gli abiti succinti e inzuppati per visitarla, un consistente aumento di nascite nove mesi dopo.

Nel 1995 i Christo, «aquila a due teste» (Carole Weisweiller), ricevono il Praemium Imperiale per la scultura, assegnato dalla Japan Art Foundation e che è uno dei premi d’arte più ambiti. Già dal 1970, per evitare la personalizzazione delle responsabilità civili, costituiscono una società di cui lei è presidente e tesoriere e Christo vicesegretario. Decideranno di non volare mai sullo stesso aereo, per essere sicuri che se uno dei due muore, l’altro potrà realizzare i progetti in corso. Jeanne-Claude si è spenta nel 2005. Almeno così sembra. Il 13 giugno 1982, per il loro 47 compleanno, lui le ha regalato una stella: uno stravagante documento dell’International Star Registry cataloga il corpo celeste situato nella costellazione del Leone con la sigla RD 9H 39 MDJ5FD 25° 30’. «Sappiamo dove ci incontreremo, dopo» (Xto + JC).