L’Adagio della decima sinfonia di Mahler trasformato in emotional landscape dalla coreografa canadese lanciata da Baryshnikov, Aszure Barton; l’apice dell’incontro amoroso nel capolavoro di Jíri Kyliàn, Petite Mort; il crescendo parossistico del Boléro di Ravel nella firma inconfondibile di Maurice Béjart, per la prima volta interpretato da Roberto Bolle. Questa l’anima sfaccettata del trittico di balletto in scena fino al 7 aprile alla Scala, un programma che affonda le radici nella danza del ’900 fino alle declinazioni di oggi.

 

 

Mahler 10 è il titolo d’apertura, prima creazione di Aszure Barton ideata per il teatro alla Scala: 26 ballerini di cui otto principali, tra cui Antonino Sutera, Virna Toppi, Stefania Ballone e Antonella Albano, per un percorso intimo dentro la musica di Mahler. Baryshnikov, che ad Aszure Barton chiese anni fa una creazione per sé, dice della coreografa: «Aszure guarda negli occhi dei danzatori quando lavora con loro. Cerca di andare sotto la superficie della pelle, per capire che persona sei».

 

 

E così è avvenuto alla Scala. Barton ha chiesto a ognuno dei solisti di ideare otto movimenti che rappresentassero momenti significativi della loro vita, sessantaquattro gesti che sono stati la base della elaborazione coreografica, un viaggio che ha trasformato le singole storie non in un pezzo narrativo, ma in un paesaggio emozionale condiviso che penetra nel respiro dolente eppure aperto alla speranza della musica di Mahler.
Sull’Adagio e sull’Andante dei Concerti per pianoforte e orchestra n. 23 e 21 di Mozart si snoda Petite Mort di Jíri Kyliàn, titolo del 1991 che tocca le corde più segrete dello spettatore per la bellezza con cui l’intreccio tra la musica e la danza porta in scena l’apice fisico e spirituale di ogni incontro d’amore. Quel rumore delle spade con cui i maschi fendono l’aria, quel fruscio del grande telo nero che alzandosi rivela all’improvviso le figure femminili, quei passi a due miracolosi nell’invenzione coreografica, Petite Mort è un pezzo che non invecchia. Tra gli interpreti una nota per lirismo alla giovane Martina Arduino che, insieme a Virna Toppi, è fresca di nomina nomia prima ballerina del teatro.

 

 

 

Infine Boléro, hit di Maurice Béjart del 1961 sulla musica di Ravel, conosciutissimo anche per il film Les Uns et les Autres di Claude Lelouch del 1981 con in centro sul famoso tavolo rosso quella belva del palcoscenico che fu Jorge Donn, chioma fulva scossa con il corpo nel crescendo. Alla Scala la prima a ballare la versione béjartiana fu Luciana Savignano, misteriosa e seducente musa italiana del maestro francese. Era il 1980, direttore d’orchestra, allora come oggi, David Coleman. Alla Scala arriveranno poi Donn, Patrick Dupont, Sylvie Guillem. Bolle desiderava affrontare il ruolo da tempo: «Quel tavolo – ha dichiarato – ti pone in una relazione con gli altri ballerini e con il pubblico mai provata.

 

 

Non c’è una storia, c’è una sensualità che non ha sesso, un’entità in cui trovare un equilibrio tra elementi quasi animaleschi e la bellezza della coreografia». Il Boléro béjartiano mette a nudo rivelando personalità e magnetismo: per questo ogni interprete ha il suo Boléro. Quello di Bolle si modella a misura dell’olimpico stile dell’étoile in contrappunto con il crescendo più terreno dei ballerini incalzanti intorno al tavolo. Pubblico scatenato. Oltre ai béjartiani Elisabet Ros (29) e Julien Favreau (30), danzeranno Boléro i giovani scaligeri Martina Arduino (27), Virna Toppi (25 e 7 aprile), Gioacchino Starace (5 aprile).