Qual è l’origine della vita umana? Quale il destino del pianeta Terra? Arriveremo mai a conoscere altre forme di vita o luoghi nuovi in cui approdare? Di fronte alla minaccia di collasso del nostro pianeta, il cinema si fa interprete dei più ambiziosi interrogativi umani e va per il mondo a rimirar le stelle. Perché le stelle sono il linguaggio dell’universo, raccontano il passato più remoto e stimolano il sogno di un futuro. In questi giorni, gli schermi del Torino Film Festival in corso fino al 30 novembre si sono aperti come osservatori sulla volta celeste.

Nella sezione dedicata ai documentari internazionali, Swarm Season della statunitense Sarah Christman si reca alle Hawaii per un racconto visivamente intenso che incastra tre situazioni sospese tra terra e cielo: nella comunità di Ka’u, una donna lotta insieme alla figlia bambina contro l’estinzione delle api, sintomo premonitore della catastrofe che incombe sulla Terra e sulla specie umana, raccogliendo sciami selvatici per creare colonie più resistenti fondamentali per l’agricoltura.

NEL FRATTEMPO, il marito partecipa alla protesta contro la costruzione del telescopio Thirty Meter sulla montagna sacra di Mauna Kea, che già ospita un sofisticato osservatorio ed è anche destinazione per un gruppo di scienziati della Nasa impegnati in una simulazione della vita su Marte. Il documentario trova nell’alveare un pattern ricorsivo: mentre gli insetti sono minacciati di estinzione dal cantiere, la cupola che vi dovrebbe nascere è progettata per imitare l’efficienza e la stabilità di un alveare e questa struttura si riflette nell’architettura del film concepito come un mosaico di cellette comunicanti tenute insieme dal collante mitico delle leggende locali. Per i suoi abitanti originari, infatti, Mauna Kea è un luogo di connessione tra il cosmo e le profondità terrestri, dominato dal monte (in realtà un vulcano) più alto del mondo se si considera che sorge a 6000 metri sotto il mare. Per gli astronomi è il miglior osservatorio dell’emisfero settentrionale, per gli abitanti è un posto sacro: come far convivere natura e ambizione scientifica?

ALLE CONNESSIONI tra cielo e terra rivolge gli occhi anche Star Stuff (Festa mobile) di Milad Tangshir, iraniano ma italiano d’adozione che quest’estate aveva a portato a Venezia VR Free, unica produzione italiana nella sezione riservata alla realtà virtuale. Il film viaggia tra il Cile, Las Palmas e il Sudafrica guidato dalle testimonianze di astronomi e di altri abitanti delle zone attorno agli osservatori che con le loro parole aprono squarci di storia e di vita vissuta. Particolarmente interessante è la parte girata nel Sutherland sudafricano dove sorge uno dei più grandi telescopi al mondo, «grande occhio dell’Africa sull’universo», e dove l’occhio e l’orecchio del film si aprono al racconto di un paese che nonostante la fine formale del regime di apartheid, soffre ancora delle ricadute di quella violenza.

Ma sotto le stelle, etimologicamente, è anche dove nascono e si coltivano i desideri e proprio al desiderio è dedicato uno dei focus tematici della sezione TFFDoc dove sono stati raccolti alcuni film incentrati sul desiderio di democrazia e di affermazione di una società libera da confini e violenze come Indianara di Aude Chevalier-Beaumel e Marcelo Barbosa, ritratto della militante trans Indianara Siqueira nel momento tra l’interim di Michel Temer e l’elezione di Bolsonaro, un momento di discesa verso il dilagare della violenza transfobica, omofobica e misogina segnato dall’assassinio di quell’astro luminoso che era Marielle Franco.