Le opere letterarie latine e greche hanno sempre avuto una notevole fortuna al cinema: non sono pochi, infatti, i film che a esse si sono ispirati. Per citare solo alcuni esempi, si può ricordare il kolossal hollywoodiano Le Argonautiche (Jason and the Argonauts, 1963) di Don Chaffey, con i sorprendenti effetti speciali di Ray Harrihausen, tratto dal poema di Apollonio Rodio, ma anche, su un versante nostrano, il capolavoro di Federico Fellini ispirato a Petronio, il Fellini-Satyricon (1969), una rilettura cinematografica del romanzo latino in toni onirici e visionari. Merita poi di essere ricordato anche il più recente De reditu – Il ritorno, diretto nel 2003 da Claudio Bondì e ispirato al De reditu di Rutilio Namaziano.
Riguardo all’Eneide, lo studioso francese Paul Léglise, in un saggio del 1958, aveva notato che il poema virgiliano, già di per sé, possiede una importante impronta ‘cinematografica’, data la sua intrinseca capacità di creare veri e propri tableaux vivants. Nell’ambito dei reception studies – degli studi, cioè, dedicati alla ricezione moderna e contemporanea dei classici – il recente saggio di Andrea Musio Virgilio sul set Tra poesia e cinema (Il Castello Edizioni, pp. 196, € 20,00) focalizza l’attenzione sulle riprese cinematografiche dell’opera virgiliana, non circoscrivendo la sua analisi solo all’Eneide ma ampliandola anche alle Bucoliche e alle Georgiche. Il lavoro di Musio, svolto dichiaratamente da un’ottica filologica, dato il massiccio corpus di note specialistiche e di brani latini e greci citati senza traduzione, sembra appunto prevalentemente diretto al pubblico accademico dei classicisti. Esso si situa nel solco degli studi critici dedicati alla relazione fra mondo classico e cinema. È soprattutto negli Stati Uniti che, dalla fine degli anni settanta, gli antichisti hanno iniziato a indagare il delicato rapporto fra letterature classiche e cinema: veri e propri battistrada sono stati gli studi di Jon Solomon e di Marianne Mc Donald. Dagli anni novanta, poi, questo campo di indagine ha preso piede anche in Italia: importante, in questo senso, è il volume Il mito classico e il cinema, uscito nel 1997 a cura di Ferruccio Bertini. La rigorosa analisi di Musio prende le mosse da un confronto fra alcune sequenze di Troy di Wolfgang Petersen (2004), e i versi virgiliani del secondo libro dell’Eneide dedicati alla presa di Troia. Con sottile perizia filologica, l’autore dimostra che diverse sequenze del film (le cui foto sono riportate in appendice all’interno di una densa sezione iconografica), più che a Omero, sono ispirate proprio a Virgilio, autore con il quale Petersen, da studente del liceo «Johanneum» di Amburgo, aveva stabilito un peculiare contatto.
Lo sguardo critico di Musio prende poi in esame Padre padrone (1977) di Paolo e Vittorio Taviani – tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Gavino Ledda: se la figura del protagonista Gavino, soprattutto nel periodo del servizio militare, può assumere dei punti di contatto con Enea, il mondo arcaico e contadino rappresentato nel film rimanda maggiormente all’universo delle Bucoliche e delle Georgiche. Come scrive l’autore, «i due cineasti danno corpo a un’autentica “bucolica cinematografica”» per mezzo di «un’appropriazione organica, radicale, quasi ‘chirurgica’ dei suoi costituenti primari». I registi, però operano anche una «demistificazione» del codice pastorale, in quanto «la bucolica cinematografica dei Taviani, a differenza di quella virgiliana, non resta cristallizzata nella sua Arcadia, ma conosce un’evoluzione, si reinventa e supera se stessa». È poi l’Orfeo (1950) di Jean Cocteau a essere vagliato dal saggio: Andrea Musio svolge inedite e interessanti osservazioni critiche poiché rileva che il film – una rilettura del mito greco nella Parigi dell’esistenzialismo – deve molto alla discesa agli Inferi di Orfeo come è narrata all’interno del IV libro delle Georgiche.
La parte finale del saggio si concentra sull’analisi dell’accurata rilettura virgiliana (dovuta anche alla sapiente supervisione di Luca Canali) attuata da Franco Rossi con il suo sceneggiato Eneide (1971), con Giulio Brogi nel ruolo di Enea. Importante, nel film, è la presenza di Creusa, la quale «estende, espande, amplifica la componente del rimpianto»: essa, a differenza del personaggio virgiliano, non sembra dischiudere a Enea il futuro ‘iniziatico’ che si troverà ad affrontare, anche se il ruolo più prettamente ‘predittivo’ della sposa di Enea, nel film, appare posticipato. Proprio Creusa, infatti, «così cruciale nella sua assenza», «uno dei frutti più vividi della grammatica del ricordo» che investe il poema, nel pieno rispetto della pagina virgiliana, appare come una delle figure più riuscite nella rilettura cinematografica di Rossi.