Buongiorno! L’articolo che state leggendo oggi sul giornale in edicola è composto con il carattere Swift regular, corpo 9,1 e interlinea 10,3. L’interlinea è lo spazio che si trova tra una riga di testo e l’altra. Questo elegantissimo corsivo invece è sempre in Swift ma regular italic. Fino a ieri, se siete stati lettori tenaci del manifesto, leggevate gli articoli in carattere Utopia. Corpo e interlinea erano più piccoli.

Stiamo parlando di grafica? Sì e no. Oggi il vostro giornale è diverso da ieri, credo si veda.

Qualche settimana fa, anche il vostro inserto del sabato, Alias, è cambiato. Domenica prossima anche Alias della domenica cambierà.

Ma stiamo parlando di grafica? Ancora sì e no. Sì e no perché la grafica non basta a se stessa, per funzionare deve percorrere una strada che, nel caso dei giornali, deve andare a braccetto con la redazione. E questo significa che prima di poter mettere la penna sul foglio o il dito sul mouse, bisogna riflettere, ascoltare, in primis ascoltare. Bello davvero questo corsivo!

Gli italiani sono stati un popolo di santi e poeti. In seguito siamo diventati tutti allenatori di calcio. Con l’arrivo dei personal computer siamo anche diventati tutti grafici. Ognuno di noi ha un amico, un parente, che si occupa di grafica: disegna il marchio dell’azienda, impagina un foglio cambiando carattere, taglia e inserisce le foto all’interno di uno spazio, fa insomma il visual designer. I software ci danno la possibilità di fare qualsiasi cosa e quindi facciamo qualsiasi cosa. Ecco, il problema, o forse la soluzione, è proprio qui. Qualsiasi cosa non è detto che sia la cosa giusta.

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Progettare un giornale è un’operazione complessa e coinvolge una serie di professioni. Il designer, dopo la fase progettuale, è il filo rosso che unisce il tutto. Partiamo dalla riunione di redazione, in cui il grafico diventa un radar. La stanza in cui ci si riunisce è piena di persone con opinioni diverse: giornalisti, tecnici, ricercatori iconografici.

Le richieste cambiano a seconda della professione e dal carattere di ciascuno. Un giornale più sobrio. No, più elegante. Macché, spartano e aggressivo, facile da fare e con pochi orpelli, articoli corti e spezzettati. Pieno di box, poche foto, molte foto, titoli lunghi e di spiega oppure titoli ad effetto con spiega nel sommario. Colonne di larghezza diverse piuttosto che colonne tutte uguali, diviso in fasce orizzontali, meglio verticali. Che ne pensi di una modulazione in quadrati?

Sembra una Babele, ma bisogna interpretare, ascoltare e tapparsi le orecchie quando serve. Un progetto è la ricerca di un punto di equilibrio tra le richieste di chi il giornale lo fa e i probabili desideri di chi il giornale lo legge.

La prima mossa è studiare e cercare elementi che siano compatibili con ciò che si ha in testa: un sommario forse, oppure un colore, ma anche un segno particolare piuttosto che un tipo di impaginazione o la composizione di una firma.

Si incamerano dati, si ruba. Questa operazione non è così diversa da quella che fa un giornalista quando deve comporre un articolo. Alla fine si ha una mole di materiale maggiore di quello che serve però, guardando, mettendo in ordine, escludendo, aggiungendo, qualcosa succede. È un incipit, il nucleo iniziale di ciò che può diventare il progetto.

Si inizia a disegnare: una gabbia, un accorpamento tra caratteri, l’andamento del testo, una testatina di pagina, con i pennarelli un colore, e così via, fino a che, con le idee chiare, si ricorre al computer.

Non c’è un iter istituzionale: chi parte dal carattere dei testi, chi dalle testatine, chi dalla scelta dei titoli, chi gioca con la «gabbia», cioè la struttura che regge il progetto. Adesso si lavora di fino, la scelta del carattere di testo per esempio è la risultante di una serie di prove.

Si scelgono le fonti che possano essere compatibili con il «sentimento» dei lettori.

In seguito di famiglie ne rimangono una o due e su queste si fanno esperimenti. Regge la lettura con questo corpo? E a questa larghezza? E con questa interlinea? E il corsivo com’è, funziona o no? Il neretto può andare bene per le domande delle interviste? Ogni domanda richiede una decisione. Ma attenzione, le decisioni devono tendere a creare un progetto, non essere buone in sé ma buone all’interno del contesto. Elementi, pezzetti, che sviluppati in maniera modulare danno la possibilità di costruire il giornale in ogni sua parte.

Se ne volete sapere di più, qui sotto tre schede che raccontano cosa abbiamo scelto. Buona lettura!

il manifesto

Il progetto del nuovo «manifesto» è un tributo a due maestri della grafica che con questo quotidiano hanno lavorato, Giuseppe Trevisani e Piergiorgio Maoloni.

Trevisani ha progettato il primo «manifesto», quando il giornale da mensile divenne quotidiano. Quelle quattro pagine erano figlie del razionalismo anni ’50: titoli di grandezza uguale, in carattere Helvetica, impaginazione a sei colonne e assenza di foto.

Nel 1973 Trevisani muore e la scelta del nuovo grafico ricade su Piergiorgio Maoloni.

Di Maoloni si è detto tanto: l’«architetto dei giornali», il maestro per eccellenza… Con lui si sperimentano nuovi linguaggi visivi. Maoloni disegna vari progetti, il giornale è il suo laboratorio. Trova illustratori esordienti, taglia le foto in modo nuovo, immagina gabbie multicolonna.

Il progetto di oggi quindi è un compendio tra due menti differenti. Il giornale è diviso in sezioni e ognuna ha le sue regole. La prima parte ha i titoli in Helvetica, come il giornale quando nacque.

Tra il primo e il secondo sfoglio c’è il reportage con una titolazione diversa. Poi c’è uno scarto: al posto dell’Helvetica appare un carattere già usato da Maoloni, lo Swift. Aggraziata e leggibile, questa font è usata per le Culture e Visioni. Qui anche l’impaginazione e l’uso delle immagini sono diversi: tagli fotografici più estremi, rubriche, spilli per sottolineare un’idea.

A seguire le lettere, le rubriche e gli interventi. I titoli sono virati in grigio per alleggerire il piombo.

L’ultima pagina, la storia, sarà una chiusura con un livello di attenzione alto in cui ritorna l’Helvetica, come a congiungersi con la prima pagina.

Il cerchio si chiude.

Alias sabato e Alias domenica

In questi ultimi anni i due supplementi storici del quotidiano si sono via via allontanati sino a formare due entità indipendenti sia per la scrittura che per le tematiche.

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Il sabato Alias offre un panorama che spazia nelle avanguardie del cinema, nello sport, nella musica e nello spettacolo con un taglio fortemente politico e discese verticali nella società. È un gruppo di pagine irriverenti e giocose che in modo molto serio affrontano, senza frontiere, quello che gli altri giornali non riescono a percepire.

Il progetto grafico è stato pensato per racchiudere nell’ambivalenza gioco/impegno i due estremi.

Ha una struttura rigida che permette uscite laterali e senza ritorno con il vantaggio di non doversi snaturare. Una stesura sempre bipolare, nei contrasti dei caratteri ad esempio: il Bodoni poster italic, giocoso e ingombrante si alterna al Bauer Bodoni regular, freddo e lineare.

Ma anche nei colori, il magenta colore puro della quadricromia, squillante ed estroverso si contrappone con un azzurro piombo, chiuso e ombroso.

In Alias del sabato, che per testata ha un ciottolo liscio e rimbalzante sull’acqua, le colonne disegnano percorsi cangianti e impervi.

La domenica il registro cambia, le curve diventano angoli retti, la lettura è densa e profonda. Il supplemento, dedicato alle letture e alle arti, è diviso in tre parti per dare un respiro alla narrazione.

La struttura in questo caso è mobile: colonne strette si alternano a colonne larghe, il movimento è nei bianchi creati dai titoli e dai binari non utilizzati che offrono riposo all’occhio.

Qui il gioco è a levare, ad asciugare.

Le pagine della domenica sono focalizzate sui pochi elementi in pagina, nient’altro che quelli strettamente necessari. Domina fra i caratteri quello, elegantissimo, dei titoli, il Kepler disegnato da Robert Slimbach, pluripremiato disegnatore di fonti.

Nei suoi due estremi, quello leggerissimo e quello nerissimo, il Kepler è responsabile dell’andamento ondulare della lettura.

Gli inserti

Insieme alla triade storica composta da il manifesto, Alias sabato e Alias domenica, abbiamo ri-disegnato anche una coppia di supplementi, quello «ludico» (per ora utilizzato solo per «in movimento») e quello «serio», per parlare di scuola, sinistra, riforme, Asia, editoria, etc.

Queste due schegge completano l’album di famiglia e offrono ai lettori ulteriori spunti.

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«In movimento», l’inserto sulla montagna e l’outdoor, ha una doppia dominante verde, che serve per accentuare il rapporto con il territorio e l’ambiente.

La prima pagina è sempre doppia: un poster, un omaggio alla bellezza, che per decisione unanime abbiamo lasciato intonso dai testi, la testata ovviamente è in verticale.

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L’inserto serio invece, contenitore di iniziative diverse, ha una struttura meno rigida dell’altro, per permettere di accogliere materiale eterogeneo.

Per frenare la sua mobilità è racchiuso in una cornice che focalizza la lettura. Il colore dominante, un verde oliva chiaro sobrio e composto, è «disturbato» da capolettera e inserti rosso fuoco che evidenziano gli incipit della lettura.

La composizione di queste pagine è più complessa e ricca di elementi se confrontata al suo fratello montanaro. Testi di diverse lunghezze e modelli di scrittura differenti si alternano cercando un’armonia più tipografica che fotografica.

Anche qui, come in Alias domenica, ritroviamo Robert Slimbach. È suo infatti il carattere dei titoli che fa da filo conduttore delle pagine.

In questo caso la font si chiama Utopia e nonostante sia stata disegnata nel 1989, rimane uno dei più leggibili e ben costruiti tipi graziati in circolazione.

copertina in asia settembre 2016