Oltre ad essere la più grande economia del continente, il Sudafrica rappresenta probabilmente l’unica democrazia funzionante dell’Africa. Inoltre è la Casa di Mandela, il quale quella democrazia l’ha tenuta a battesimo e per la quale è stato combattente e partigiano. Due ragioni che bastano a fare della Rainbow Nation una tappa obbligata del tour africano del presidente degli Stati Uniti Barack Obama. Dopo l’arrivo venerdì in tarda serata dell’Air Force One, ieri si sono svolti i colloqui bilaterali con il presidente sudafricano Jacob Zuma all’Union Buildings di Pretoria, che nel 1994 ospitò l’inaugurazione della presidenza di Nelson Mandela – che da venti giorni ormai è ospedalizzato ad appena un chilometro di distanza – come primo presidente nero eletto nelle prime libere e democratiche elezioni . Zuma ha accolto Obama come il primo presidente degli Stati Uniti afro-americano che al pari di Mandela – occupando la più alta carica politica dello stato – incarna la lotta contro il razzismo istituzionalizzato e la vittoria su ogni forma di discriminazione.

Ma l’umore nel paese di Madiba, c’è però da aggiungere, è ben lontano dai toni trionfalistici del 1994, viste le difficoltà economiche, sociali e politiche in cui versa attualmente la Rainbow Nation. A due decenni quasi dalla fine dell’apartheid e dall’avvio con la presidenza di Mandela di quel processo democratico per cui le leggi discriminatorie promulgate dal regime della minoranza bianca sono state abolite e milioni di persone possono oggi godere di un alloggio, acqua ed elettricità, la disoccupazione è però al 25%, le baraccopoli sono devastate dalle proteste, spesso xenofobe, e i disordini nelle miniere hanno provocato più di 50 morti dall’inizio del 2012. Lo stesso presidente Jacob Zuma si è trovato spesso coinvolto in scandali e casi di corruzione e il suo partito l’African National Congress (Anc) è in preda a dilanianti lotte intestine.

In questa situazione alla visita del presidente degli Stati Uniti l’élite economica sudafricana guarda con attenzione e aspettative, e ad Obama il presidente Zuma, durante il loro incontro, ha chiesto più investimenti e un rafforzamento delle relazioni commerciali trovando d’accordo la sua controparte. È stato invece su questioni multilaterali che sono emerse alcune divergenze. Zuma ha infatti preso una posizione ferma su questioni come il diritto per la Palestina di essere uno stato indipendente, la riforma del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e delle politiche di intervento nei paesi africani che soffrono una situazione di instabilità, tra cui la Repubblica Democratica del Congo, il Mali, il Niger, la Repubblica Centrafricana e la Somalia.
«Siamo fiduciosi che l’Unione Africana, con il sostegno della comunità internazionale, troverà soluzioni alle sfide che abbiamo di fronte in questi paesi» ha poi aggiunto Zuma. rimarcando che soluzioni più «africane» potranno produrre risultati. Riguardo al Consiglio di Sicurezza dell’Onu il presidente sudafricano ha poi criticato il ruolo egemone svolto da alcuni paesi senza il sostegno di altri: «I problemi nella regione del Sahel derivano principalmente dal modo in cui il Consiglio di sicurezza ha gestito la situazione libica».

Il Sudafrica è disposto a collaborare con gli Stati Uniti sulla costruzione della pace, in situazioni di post-conflitto e di cooperazione allo sviluppo, ma sotto l’egida delle Nazioni Unite e dell’Unione africana, ha sostenuto con forza Zuma. Tutte dichiarazioni che hanno portato Obama ad ammettere che i due governi «non sono d’accordo su tutto», ma possono sicuramente fare progressi insieme ad esempio nel nucleare e nelle politiche sui cambiamenti climatici. Le aree di disaccordo – ha aggiunto – devono esortare a lavorare meglio sul piano delle comunicazioni multilaterali per anticipare potenziali tensioni. Confermando di considerare le relazioni bilaterali con il Sudafrica molto forti. Al suo secondo mandato presidenziale, questa visita rappresenta quella ufficialmente più significativa in Africa. Ad attenderlo però c’erano molte proteste da parte di cittadini comuni.

Due giorni fa, a pochi isolati dal Mediclinic Heart Hospital di Pretoria – dove Mandela è ricoverato – un migliaio di manifestanti ha protestato contro la visita di Obama. Sostenitori ed esponenti del South African Communist Party (Sacp), del Congress of South African Trade Unions (Cosatu) e di altre associazioni tra cui il South African Students Congress (Sasco), la Muslim Students Association (Msa), il Friend of Cuba Society (Focus) e il Boycott, Divestment and Sanctions against Israel (Bds South African) che hanno urlato contro le politiche statunitensi nel mondo definendole «arroganti e oppressive». Gli stessi manifestanti che si sono radunati ieri fuori dal Soweto Campus dell’Università di Johannesburg per attendere l’arrivo con questi slogan di Barack Obama e che invece sono stati allontanati dalle granate stordenti degli agenti della polizia sudafricana in tenuta antisommossa.