Tosca debutta alla Scala? Uno dei titoli più popolari della tradizione lirica italiana e il teatro che di quella tradizione è diventato l’emblema sono al loro trentunesimo appuntamento nei 119 anni trascorsi da quel lontano 17 marzo 1900 in cui Arturo Toscanini diresse la leggendaria prima scaligera dell’opera di Giacomo Puccini. Sì, Tosca debutta alla Scala. Come, a ben 154 anni dal debutto milanese, accadde nel 2013 a Traviata di Giuseppe Verdi, Tosca apre per la prima volta la stagione lirica più attesa al mondo.

Se allora si trattava di chiudere le celebrazioni del bicentenario verdiano, questa volta il fine, non meno nobile, è quello di proseguire il percorso – intrapreso quattro fa da Riccardo Chailly con Turandot e proseguito con La fanciulla del West, Madama Butterfly e Manon Lescaut – di presentazione delle opere di Puccini alla luce delle ricerche musicologiche più recenti.

IN QUESTA sorta di personale renaissance pucciniana, il Direttore Musicale della Scala sta tentando di sottrarre le partiture alle incrostazioni della tradizione, ovvero a quei «dati» compositivi e a quelle prassi esecutive che, come ci ricorda Roger Parker, autore dell’edizione critica di Tosca, non sono che fotografie transitorie di processi di elaborazione assai più duraturi (è noto come Puccini continuasse a intervenire sulle sue opere anche dopo la loro pubblicazione). In questo caso viene offerta al pubblico la versione della prima assoluta di Tosca andata in scena il 14 gennaio del 1900 al Teatro Costanzi di Roma, mai più ascoltata da allora poiché subito modificata dal compositore proprio per il debutto scaligero, avvenuto due mesi dopo.

«La Tosca così come la conosciamo – avverte Chailly – ci sarà tutta, non una nota di meno. Ci saranno piuttosto passaggi in più, perché Puccini nelle revisioni tagliava, non aggiungeva nulla. Saranno 8 momenti che nulla tolgono a quello che conosciamo della partitura . Il Te Deum che chiude il primo atto sarà a cappella senza il raddoppio degli ottoni. C’è una coda alla celeberrima aria di Tosca ’Vissi d’arte’ dove la protagonista ha uno scambio di battute con Scarpia. Il finale del secondo atto, quando la donna delirando pugnala il capo della polizia, prevede 15 battute in più in un continuo passaggio di terzine e duine che arriva a un espressionismo che non è quello di Berg, ma gli si avvicina molto. Il finale dell’opera, con Tosca che si lancia nel vuoto da Castel Sant’Angelo, prevede una ripresa del tema di ’E lucevan le stelle’ a tutta forza che allunga di circa un minuto l’azione».

ENERGICO e scrupoloso nel sostenere i cantanti, il maestro rende ragione della seduttività melodica e della complessità armonica della partitura, che riposa su un tematismo di origine wagneriana riletto alla luce della tradizione nazionale e spinto verso la dilatazione e l’eccesso di Strauss, sforzandosi di non perderne alcuna screziatura timbrica o ritmica, mettendone in risalto la continuità, sottolineando progressioni di accordi inusuali e tinte di inaudita pastosità, facendoci delibare le primizie delle aggiunte, tutte nel segno della dilatazione estatica.

Anna Netrebko dà a Tosca la voce che dovrebbe avere, piena, omogenea nel colore, alla bisogna spinta e drammatica o tenue e lirica, modulando ogni sillaba e ogni dinamica, cesellando un’interpretazione del ruolo a tutto tondo. Francesco Meli, benedetto anche lui da una voce voluminosa e ben timbrata, dà a Cavaradossi slancio eroico e amoroso, sfumando dov’è necessario. Luca Salsi scolpisce uno Scarpia la cui cattiveria luciferina è affidata tutta al veleno metallico del fraseggio.

Il regista Davide Livermore, con le scene di Giò Forma, i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Antonio Castro e i video di D-wok, pur non aspirando a neutralizzare gli eccessi del dramma che, sotto la pressione costante e nervosa di Puccini, Luigi Illica e Giuseppe Giocosa hanno tratto da Victorien Sardou, li passa al calore bianco di una lettura drammaturgica stupefacente.

IL MOVIMENTO e l’azione sono spostati in larga parte sulla macchina scenica, sgravando gli attori da molti pericoli di convenzionalità e goffaggine di gesto e lasciando loro facoltà di approfondire con la visceralità della voce i personaggi, disposti come tasselli necessari di un mosaico di tragica ineluttabilità: le architetture di Sant’Andrea cercano Cavaradossi, gli affreschi di Palazzo Farnese si sporgono verso Tosca, ruota la prigione di Castel Sant’Angelo… Si resta abbagliati da uno spettacolo che ha il dinamismo e l’intensità di un racconto cinematografico e, dopo un decennio in cui ha imperversato il brutto allestimento di Luc Bondy, si può dire che Tosca ha nuovamente debuttato alla Scala.