Olga Sedakòva è poeta di grande rilievo, nata nel 1949 a Mosca dove a lungo ha insegnato. È saggista e autrice di opere filologiche sullo slavo ecclesiastico e soprattutto di letture propositive di autori come Puškin, Mandel’štam, Dostoevskij e Pasternak (un importante saggio sul rispecchiamento de L’idiota nel Dottor Zivago). Dante è un suo faro e lavora a una nuova traduzione della Commedia, sostenendo che quella classica su cui si è formata è un monumento accademico. Del resto ha imparato l’italiano per leggere Dante e trascorso mesi di lavoro a Ravenna.

In attesa di avere da noi questa dantista esimia per le iniziative del settimo centenario del 2021, possiamo apprezzare in rete saggi, interviste e versi, e il suo libro Elogio della poesia. Versi e saggi (Aracne, 2013). Collegata online con Lerici, Sedakòva riceverà il 3 novembre il Premio LericiPea per l’opera complessiva, riconoscimento già andato a due poeti della generazione precedente, Evtušenko e Achmadulina (diretta streaming all’indirizzo www.facebook.com/LericiPea/live).

SARÀ UN’OCCASIONE di sentirla leggere e parlare con la sua passione tutta russa per la ricerca spirituale sulle orme di Dante e di un’idea universalista del cristianesimo (Sedakòva si sente anche mediatrice fra Ortodossia e Cattolicesimo, classici fratelli-coltelli).

La sua poesia è di grande impatto, riesce a volare alto sull’abbrivo fra gli altri di Rilke ed Eliot ma senza rinunciare a una consapevolezza del quotidiano e della complessità. Ha una semplicità alla Dickinson, che decanta (come nel caso di Emily) una profonda cultura. Ma conta la percezione e la trascrizione partecipe di ciò che si vede del mondo e che è importante, necessario, comunicare. La poesia come ispirazione che regoli, diriga in qualche modo, con dolce forza, la vita.

Ecco l’immagine dell’angelo ridente della cattedrale di Reims: «Sei pronto? / l’angelo sorride / Lo chiedo, anche se so / che certo tu sei pronto: / non parlo a chissà chi, / ma a te…».

In Italia molti ormai conoscono l’«angelo necessario» di Wallace Stevens, autore che curiosamente Sedakòva non nomina accanto a Eliot e Pound da lei frequentati e tradotti. L’angelo di Stevens è l’angelo della realtà e/o dell’immaginazione che ci richiama alla visione del mondo spogliato di illusioni religiose eppure rivelato nella sua pienezza salvifica.

L’angelo di Sedakòva ha tutto il diritto di stare accanto a quello indimenticabile di Stevens. Ha sofferto la guerra che gli ha ferito un braccio, ma, sereno come il fratello americano, si rivolge direttamente a ciascun lettore: «Tuttavia / in questa rosea pietra sgretolata, / levando il braccio / scheggiato dalla guerra mondiale, / consentimi di ricordarti: / sei pronto? / Alla peste, alla fame, al terremoto, al fuoco, / all’incursione dei nemici, all’ira che si abbatte su di noi? / Certo, è tutto importante, ma non è di questo che voglio parlarti. / Non è questo che ho il dovere di rammentarti. / Non per questo sono stato inviato. / Io ti dico: / tu / sei pronto / a una felicità incredibile?».

FINE DELLA POESIA, come della vita, è dunque la felicità, magari non quella comunemente intesa come tale. La parola «felicità» è tematica nel romanticismo e modernismo angloamericano, da Wordsworth a Whitman a Stevens ai Quartetti di Eliot («Tutto sarà bene, ogni sorta di cosa sarà bene»). Essere pronti a essere felici. Senza del resto ignorare, ribadisce Sedakòva, i disastri della guerra che valgono per ogni disastro personale e collettivo. La felicità la troviamo «nel mondo che è il mondo di tutti noi / o per nulla» (Wordsworth). Il minimo progetto etico umano, scrive Sedakòva, ricordando i disastri del Novecento (e Duemila), è far sì che perlomeno il mondo non sia un inferno. Sarebbe già qualcosa.

Poi c’è la difesa della poesia come possibile guida che ci riorienta richiamandoci a ciò che conta davvero. Si veda la promessa espressa in Tutto, e subito: «‘Non così io do, come il mondo dà’ / non così / ma tutto, e subito, e senza ripensamento, / senza chiedere gratitudine né rendiconto: / tutto e subito. / Sùbita mente più dello schianto del fulmine, / sorprendente mente / più di tutto quello che avete visto e sentito e potuto immaginare, / più bella del delirio del mare, / della voce di molte acque, / più tenace della morte, / più forte dell’inferno. / Tutto, e subito. / E senza che finisca. / E nessuno lo rapisca».