Sabato scorso le strade del centro di Madrid sembravano un pentolone in cui le numerose anime della «disobbedienza» spagnola ribollivano contro il programmatico smantellamento dello stato sociale, orchestrato della Troika ed eseguito con zelo da scolaretto dal governo conservatore del premier Mariano Rajoy. In soli due anni e mezzo di governo, la china percorsa a folle velocità dal Partido popular ha portato a 6 milioni di disoccupati, tagli a settori cruciali come la sanità e l’istruzione, una legge liberticida sull’aborto e la piaga sempre sanguinante degli sfratti.

Tutti motivi confluiti nella protesta di sabato, che ha riunito nella capitale – nonostante i picchetti della polizia alla periferia della città – centinaia di migliaia di persone, alcune delle quali accorse a piedi in una marcia di giorni che ha mobilitato otto colonne di manifestanti partite da varie regioni del paese per difendere non solo i diritti sociali, ma anche la propria dignidad. Una parola che, dall’occupazione della puerta del Sol in poi, è diventata chiave nel lessico e nell’immaginario del movimentismo spagnolo e ha infatti dato nome all’eterogenea manifestazione di sabato, battezzata proprio «marcia della dignità». Un nome scelto anche con l’intento di svincolare da partiti e movimenti una manifestazione volutamente senza leader, seppure ideata nel seno del Sindicato Andaluz de trabajadores.

Al centro, questa volta, i cittadini (appoggiati comunque da 200 organizzazioni, tra collettivi sociali, partiti, e sindacati), ciascuno con differenti istanze e rivendicazioni cementate però dal «no» forte e chiaro alla politica dell’esecutivo, efficacemente declinato in tre punti: «i cittadini non pagheranno il prezzo della crisi; basta tagli; a casa il governo della Troika». Un’ostilità a cui il governo ha risposto con la cifra record di 1.650 poliziotti antidisturbios, finiti ancora una volta al centro delle polemiche per la loro condotta violenta: questa volta le cariche, innescate verso le nove di sabato dall’esplosione di qualche petardo, hanno provocato addirittura 24 arresti, il ricorso ai famigerati proiettili di gomma e circa una cinquantina di feriti tra i manifestanti (69 tra le fila della polizia). Un bollettino da guerriglia urbana lontano dalla natura pacifica della manifestazione e probabilmente evitabile, soprattutto se trovassero riscontro le dichiarazioni degli organizzatori, che hanno parlato di una carica premeditata.

Quel che è certo, in ogni caso, è che l’intervento delle forze dell’ordine ha infuocato l’indignazione manifestanti, che hanno reagito con un corteo di protesta – anch’esso disperso senza apparente motivo da violente cariche – che domenica ha sfilato dalla Puerta del Sol per chiedere la liberazione dei detenuti. Uno di essi, secondo quanto riferisce l’avvocato dell’organizzazione Enrique Santiago, sarebbe accusato addirittura di tentato omicidio ed è ancora agli arresti, mentre alcuni sono stati rilasciati già nella mattinata di ieri. Tra di essi alcuni hanno denunciato «maltrattamenti da parte delle forze dell’ordine», che dopo l’arresto li avrebbero costretti in piedi, faccia al muro per sette ore.

Importanti segnali di malumore arrivano anche dalla polizia: domenica, circa 150 agenti dell’Unidad de intervención policial (il nucleo della Policia nacional intervenuto nelle manifestazioni) si sono riuniti per prendere le distanze dalla gestione dell’intervento di sabato. Un fatto senza precedenti tra gli antidisturbios, che hanno puntato il dito contro i superiori, accusandoli di «aver impartito ordini caotici e pericolosi anche per l’incolumità degli stessi agenti». Il Sindicato unificado de policia ha chiesto la testa dei responsabili, appoggiati però sia dal delegato del governo a Madrid, Cristina Cifuentes, sia dal ministro degli Interni Jorge Fernández Díaz e, stando così le cose, è ben difficile che la richiesta venga esaudita.