È come una generosa, antica famiglia. Cittadina del mondo, un po’ decaduta ma frugale e resistente. Nel suo anno internazionale, il 2023, deciso dall’Assemblea delle Nazioni unite, viene definita in inglese con il plurale millets. Parliamo di miglio per indicare gruppo eterogeneo di cereali dai piccoli chicchi, capaci di crescere con input minimi e resistere a siccità, patologie e stress climatici.

COME SPIEGA LA PUBBLICAZIONE (consultabile online) Unleashing the potential of millets, questi cereali consentono di mettere a frutto terre marginali e siccitose, diversificare i sistemi alimentari bilanciando diverse possibilità anche per piccoli agricoltori e popoli indigeni, ridurre la dipendenza dai cereali importati, offrire alimenti nutrienti ed economici contro fame e malnutrizione (anche nei paesi abbienti). Si stima che solo l’1% della produzione totale di miglio venga commercializzato sul mercato internazionale, un numero significativamente inferiore a quello di altri cereali di base come grano (24%), mais (15%), orzo (20%), avena (10%), riso (8%) e segale (4%). La maggior parte dei miglio è venduta nei mercati locali, vicino al luogo di coltivazione: un aspetto positivo.

MALGRADO LE VIRTÙ, il miglio deve fare molte miglia per riconquistare la sua storica importanza nelle diete sane di tutto il mondo. Non per niente gli agricoltori – anche piccoli – scelgono spesso di coltivare altre colture: la produzione di miglio è passata da circa 25 milioni di tonnellate negli anni 1960 a circa 30 milioni di tonnellate nel 2021 (FaoStat, 2023). Nello stesso periodo, la produzione di mais è quasi triplicata. Perché questo trend? Gli investimenti e il sostegno pubblico nella ricerca colturale, nella trasformazione, nelle infrastrutture, nello sviluppo dei mercati si sono orientati sulle colture tipiche della rivoluzione verde – riso grano mais. Parallelamente, sono via via cambiate le preferenze alimentari, un fenomeno indotto anche dall’inurbamento.

I SEMI DI QUESTI CEREALI minori possono essere liberamente ripiantati, condivisi e scambiati, a differenza di quelli delle colture commerciali, spesso brevettati. Il sostegno alle banche dei semi e ai sistemi di ricerca e di divulgazione locali, insieme al miglioramento varietale, può aumentare la produzione sostenibile di miglio.

UN ESEMPIO INTERESSANTE è quello degli agricoltori indigeni Gurung del Nepal centrale, impegnati a far rivivere, come sfida alla siccità, il miglio a coda di volpe (Setaria italica), tradizionalmente coltivato come coltura di carestia poiché matura in un periodo dell’anno in cui gli agricoltori hanno già raccolto tutto il resto. Da derrata di base nella regione, via via è stato sostituito da riso, grano e mais, più incentivati e dalle rese interessanti (in peso più che in nutrienti). Adesso che l’acqua scarseggia, il piccolo miglio torna in voga, grazie soprattutto alle donne e alla banca comunale dei semi di Ghanpokhara, promossa anche dal governo locale.

MA FRA LE SFIDE DA VINCERE PER IL MIGLIO a livello planetario rimane l’attività faticosa necessaria per la raccolta e la lavorazione. Ormai, certo, l’immagine delle donne saheliane intente a pestare i chicchi in grandi mortai per decorticarli è stata sostituita in parte da macchinari. Spiega Fenton Beed, che guida il team sui sistemi alimentari rurali e urbani, parte della divisione Produzione e protezione vegetale presso la Fao, l’agenzia Onu che si occupa del sostegno tecnico e logistico all’Anno internazionale: «È centrale migliorare le tecnologie per la raccolta e la fase post-raccolta, che presentano molti punti deboli. È evidente infatti che, a mano, una pannocchia di mais si raccoglie e si pulisce molto più facilmente rispetto a cereali dai semi piccoli come questi. I webinar organizzati durante l’Anno hanno permesso di mettere in contatto in giro per il mondo diversi attori delle filiere, per confrontarsi anche su difficoltà come queste». Mini-mulini e altre strutture, insieme a migliori pratiche agricole, alleggeriscono il lavoro e tecniche specifiche aiutano anche a conservare i nutrienti del miglio e soddisfare i desideri dei consumatori di prodotti di facile uso. Un altro problema sono le perdite durante le fasi di essiccazione, trebbiatura e stoccaggio, che dipendono anche dalle varietà di miglio; alcune possono essere conservate fino a quattro o cinque anni in strutture di stoccaggio semplici come i granai tradizionali.

LE RESE DEL MIGLIO, COMUNQUE, SONO INFERIORI a quelle dei cereali concorrenti. Ecco uno degli elementi che soprattutto in aree povere non si può trascurare, anche se le varietà di miglio primeggiano su altri cereali in principi nutritivi. Spiega l’esperto della Fao: «Il problema è evidente soprattutto in Africa. Miglio e sorgo sono stati via via sostituiti. Ma abbiamo visto raccolti di mais fallire quasi completamente a causa della siccità. In queste nuove e difficili condizioni, è arrivato il momento di discutere con i coltivatori nuove, anzi antiche opzioni». E piccoli agricoltori come Patrick in Zimbabwe se ne sono già accorti. Decenni fa, iniziando la propria azienda agricola, era passato al mais, non nativo nel paese ma così produttivo. La fiaccante siccità all’inizio degli anni 1990 fece passare lo Zimbabwe da paniere africano a importatori alimentare netto. Patrick continuava con il mais, raccogliendo bene solo un anno su cinque. Nel 2017, grazie alla scuola contadina locale, passa al miglio perlato, ed è contento: tollera la siccità, e costa meno produrlo. E sono disponibili i semi nativi.

QUALE IMPATTO HA AVUTO, INSOMMA, l’Anno internazionale del miglio sull’aumento della produzione e del consumo di questo cereale? Conclude Fenton Beed: «Abbiamo lavorato insieme ai paesi membri, in particolare all’India che ha voluto questo Anno, per sensibilizzare e promuovere questi cereali, varie ragioni messi da parte. L’obiettivo è stato duplice: come far interessare nuovamente sia i produttori che i consumatori? Per interessare questi ultimi, sono stati coinvolti – come già, nel 2016, per l’Anno dei legumi – cuochi e fotografi anche amatoriali, così da valorizzare le potenzialità di questo alimento per diete sane e ilsuo utilizzo innovativo, mirando anche e soprattutto ai giovani. In questo senso l’Anno internazionale ha giocato da catalizzatore. Ma il vero successo ci sarà quando si vedranno nuovi investimenti in queste colture, che sono utili ai tempi del cambiamento climatico e che hanno un potenziale in termini di posti di lavoro».