Le diseguaglianze crescono. Non sono una conseguenza inevitabile e accidentale della crisi economica globale in corso. Sono al contrario l’elemento costitutivo e strutturale del modello di sviluppo economico e sociale plasmato dal neoliberismo.

E, per lo meno dagli anni ’80, le politiche pubbliche a livello globale hanno assecondato la loro crescita e la loro legittimazione in ogni sfera della vita pubblica e sociale. Vivere in società profondamente diseguali èdiventato normale.

Che l’1% della popolazione mondiale detenga quasi la metà (il 48% nel 2014 secondo Oxfam) della ricchezza mondiale è normale. Che il 25,8% degli italiani abbia un reddito inferiore a 10 mila euro (Istat 2015 su dati 2012) è considerato normale. E che durante la crisi la quota di ricchezza concentrata nelle mani dell’1% più ricco sia aumentata ovunque, è normale.
Non potrebbe essere altrimenti. I rapporti di forza tra poteri economici e politici e tra capitale e lavoro hanno visto prevalere di gran lunga i primi. E il mercato non produce maggiore eguaglianza.
Semmai la propaga: dall’economia, alla politica, alla società. Tanto da rendere obsoleto il dibattito che ha contrapposto nella storia del pensiero politico novecentesco eguaglianza formale e eguaglianza sostanziale, diritti civili, diritti politici e diritti sociali.

I diritti sono sotto attacco: tutti. Perchè l’ideologia neoliberista li ha trasformati in privilegi. E i privilegi per lo più si ereditano.
Così avere un lavoro e una retribuzione decenti è un lusso. Ha diritto a vivere in un alloggio dignitoso solo chi può permettersi di acquistarlo o locarlo sul mercato. La salute è destinata ad essere un privilegio di chi può rivolgersi al privato. L’assistenza alle persone anziane e non-autosufficienti è delegata alla responsabilità e alla capacità di spesa delle famiglie. E la pensione è un miraggio per chi non può tutelarsi con assicurazioni private.

Per non parlare di chi proviene da altrove. Che muoiano 300 persone nel Mediterraneo mentre fuggono da guerre e conflitti, come è avvenuto di nuovo nei giorni scorsi, al di là della consueta retorica, è nei fatti funzionale a un sistema sociale ed economico strutturalmente escludente. Né, come spiega Franzini nelle pagine che seguono, una eventuale ripresa economica genererebbe di per sé maggiore eguaglianza.
Solo un cambiamento delle politiche pubbliche può invertire questa tendenza. Da tempo Sbilanciamoci! ha individuato alcune priorità: l’abbandono delle politiche di austerità, un intervento pubblico in campo economico finalizzato a rilanciare l’occupazione e a garantire il benessere sociale delle persone, la promozione di politiche di redistribuzione del reddito e della ricchezza, il rafforzamento dei sistemi di welfare che ponga fine alla loro progressiva privatizzazione.

Le persone colpite dalla crescita delle diseguaglianze costituiscono la maggioranza. La sfida che abbiamo in questo momento è quella di riuscire a mobilitarci sottraendoci al gioco di chi contrapponendo studenti e lavoratori, disoccupati e occupati, lavoratori dipendenti e precari, giovani e anziani, abitanti dei centri e delle periferie, donne e uomini, cittadini nazionali e stranieri, ha il solo fine di tenerci quieti.
La crescita delle diseguaglianze è uno dei principali mali del nostro tempo. La riscoperta e il recupero dell’idea di eguaglianza potrebbero aiutarci a ribellarci.