Per i tipi di Il Mulino, Valerio Magrelli ci consegna Millennium Poetry, viaggio sentimentale nella poesia italiana (pp.170, euro 13,50), una commentata antologia di icone poetiche da cui l’autore soffia via la polvere, attraverso mille anni. Magrelli si muove qui nella letteratura italiana che va dall’VIII-IX secolo fino al ’900 e lo fa tra giganti: non si tratta di un Atlante e neppure di un Manuale, ma d’un colpo d’occhio gettato su trentanove grandissimi della nostra tradizione. Quasi «un album figurato, compilato in molti anni di letture». Di ciascuno dei trentanove antologizzati Magrelli riporta e commenta una sola poesia, salvo che in due eccezioni, rappresentate da «una coppia di reclusi quali Tommaso Campanella e Vittorio Sereni».

Una chiave di lettura? La cifra, «nel linguaggio della tecnica corrisponde alla possibilità che il nostro paese ha di connettersi all’intero mondo e la nota che apre al volume si intitola +39: istruzioni per l’uso», spiega l’autore. 39 sono le voci, 39 le incluse verità. Si incontrano i grandi classici: Dante, Cecco Angiolieri, Ludovico Ariosto, Giovanni Della Casa, Tommaso Campanella, Metastasio, Parini, Alfieri, Foscolo, Carlo Porta, Leopardi, Carducci, Pascoli, Gozzano, Palazzeschi, Ungaretti, Montale, Sereni…

Magrelli premette che l’attraversamento sentimentale di Millennium Poetry include un certo venir meno dell’apparato critico a favore d’uno sguardo più aperto, sguardo «di un uomo-biblioteca» a corpo libero nel web, resistente, persistente anche fuori dai luoghi deputati: sì, la biblioteca è un simulacro e il viaggio è, appunto, sentimentale, «nulla di programmato o di metodologicamente organizzato». Anzi, è qualcosa come un «kit da passeggiata» da usarsi liberamente, senza timoniere.
Due, in particolare, sono gli aspetti che Magrelli mette a fuoco in questo viaggio: la vincolante questione del canone, e il taglio incline a una lingua mobile, a quella strana poliglossia a cui, a volte, la poesia si vota: «Ho fatto sì che nei circa dieci secoli di poesia italiana esaminata, comparissero testi di italiani scritti in lingue straniere (il provenzale di Dante, il greco di Poliziano o il latino di Pontano, testi in italiano scritti da stranieri (un sonetto di Milton), testi in dialetto (il milanese di Carlo Porta e il Romano di Giuseppe Gioacchino Belli) o addirittura testi di ‘stranieri italiani’ scritti in lingua straniera», avverte l’autore. Splendidi sono i versi arabi che il siciliano Ibn Hamadîs dedicò «a quella che riteneva la sua patria». Versi datati intorno all’anno Mille che illuminano il passare delle generazioni: «L’anima volle tutto in giovinezza. ’Ecco i giovani. Splendono di antico / valore come un loro firmamento’».

Rapide, eccentriche sono le letture che Valerio Magrelli fa dei versi dei poeti presi a bordo, e nel pullulare dei rimandi, nella ricchezza dei riferimenti avvertiamo ferma la sua voce di poeta. Ad esempio, nel riportarci alla godibile lettura di Il tabacco di Pietro Metastasio, come in una sequenza cinematografica, Magrelli prima inquadra Metastasio ancora bambino che aduna gente attorno a sé recitando versi improvvisati per strada, poi crea all’improvviso un’associazione visiva e di senso con l’immagine di Eminem che cerca di sfondare sulla 8 Miles Road a Detroit, nel 1995.

Una poetica formazione e un credo deontologico qui in Millennium Poetry si liberano nel tempo come fossero nuvole, e ritroviamo i grandi incontrati nei libri, quando là in qualche aula, in un attimo passava un secolo e nella mente piano piano si formava il colossale archivio dei poeti. Magrelli ha scelto i trentanove tra i supervisibili che la storia della letteratura ha portato fin qui, ha scelto a partire da sé secondo sentimento, che è pur sempre sentimento del mondo e della storia. E la storia, a guardarla qui, è sbilanciata.

La spinosa questione del canone. Oltre che dentro a una letteratura la storia ci tiene anche nel buio, nel pericolo. Ma è un dato di fatto: una su trentanove vuol dire che, con un po’ di fortuna ogni trentanove poeti si potrebbe incontrare una poetessa, ma non è così. Bene ha fatto Magrelli a non patteggiare tristi quote proporzionali: dunque non due o tre voci di poetesse in mille anni, ma solo una, una sola, emblematica, come un comandamento: Amelia Rosselli. Una voce posta tra la fine e l’inizio di un’epoca come una sentinella. Proprio lei, una specie di apolide, sempre in movimento tra una lingua l’altra: inglese, francese, italiano.
Forse non solo per ragioni cronologiche Amelia Rosselli compare per ultima. Magrelli la mostra che si sporge tra i suoi lapsus e i suoi scarti di parole nella ricerca di una norma nuova, e mostrandola fa un balzo in avanti, anzi una virata, per scattare l’istantanea che cattura quel vasto, incontenibile tu a lungo tallonato da Rosselli: «Tutto il mondo è vedovo se è vero che tu cammini ancora / tutto il mondo è vedovo, se è vero».

A Millennium chiuso, uscendo da questa galleria di titani, abbiamo pensato alle parole di Marina Cvetaeva che dista appena un secolo da qui: «saranno le gambe a portarti… guardi indietro e vai avanti…». Come un Angelus Novus, un Millennium lo vedi bene a ritroso. Con i suoi giganti sulle spalle, Magrelli ci consegna una domanda: ma l’umana poetica che s’affaccia, la poetica di uomini e donne in viaggio attraverso i paesi e le lingue, quando sarà? E come sarà, la norma nuova?