Il 19,2% degli occupati italiani, ossia circa 4,2 milioni di persone, ritiene di poter perdere il lavoro nell’arco dei 12 mesi che ha davanti a sé. È quanto emerge dalla III indagine Isfol sulla qualità del lavoro, che affronta anche il tema della job security. Un timore che si è acuito negli ultimi sette anni: analizzando infatti l’andamento relativo al periodo 2006-2010, in cui ricade l’esplodere della crisi, si riscontra un aumento della percezione di rischio di ben 1,5 punti.

La stabilità lavorativa viene percepita più criticamente nei contesti lavorativi in cui ci sono stati tagli di personale: si osserva, infatti, che nel 2010 circa il 34% degli occupati che hanno assistito a una riduzione del personale da parte dell’impresa dichiara di poter perdere il lavoro nell’anno successivo. Tale quota è cresciuta notevolmente rispetto al 2006, quando si attestava intorno al 23%, probabilmente anche in conseguenza alla crisi stessa.

Se si studiano le caratteristiche degli occupati in Italia, si osserva una forte disomogeneità nella quota di quanti percepiscono un’instabilità lavorativa. In generale, i soggetti maggiormente esposti al rischio di espulsione e che hanno contratti precari sono quelli che dichiarano maggiore insicurezza lavorativa. La precarietà del rapporto di lavoro è la caratteristica che più di ogni altra ha un impatto negativo sulla job security. Si tratta principalmente di occupati giovani, donne, persone che lavorano con orari ridotti, occupati in professioni non qualificate e che percepiscono una bassa retribuzione.

Mostrano una maggiore incertezza sul proprio futuro gli occupati in possesso di titoli di studio medio-bassi, cioè quanti hanno maggiori probabilità di ricadere nelle professioni meno qualificate e nei bad jobs.

La precarietà del rapporto di lavoro è l’aspetto che più di ogni altro incide sulla percezione di instabilità lavorativa: ben il 60,2% dei collaboratori e il 52,9% dei dipendenti con contratto a termine ritiene di poter perdere il lavoro nei 12 mesi seguenti. Gli occupati che lavorano su base oraria ridotta e quelli che svolgono un lavoro con basse remunerazioni sostengono, in proporzioni ben superiori alla media, di sentirsi insicuri circa il proprio futuro.

Chi lavora part-time, infatti, percepisce insicurezza nel 25,8% dei casi, mentre chi lavora con un orario full-time crede di poter perdere il proprio posto di lavoro soltanto nel 17,7% dei casi. Analogamente, chi ha una retribuzione inferiore ai 900 euro mensili si ritiene insicuro nel 28,3% dei casi; tale quota si riduce drasticamente all’aumentare del guadagno percepito, raggiungendo valori intorno al 12% per gli occupati con uno stipendio mensile non inferiore a 1.750 euro netti.
Insomma, più è debole la posizione di partenza, e più in proporzione aumenta l’ansia.