La nuova presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, che si insedierà il prossimo primo novembre, ha adottato i toni morbidi che ci si attendeva: Brexit sarà l’inizio di un nuovo rapporto fra l’Europa e il Regno Unito, non una fine. Nel caso in cui Brexit «accada», le due controparti dovranno costruire nuovi legami dopo il divorzio, ha detto von der Leyen. Dando però anche una bella spinta alla Dublino di Leo Varadkar con l’affido dell’incarico di commissario europeo per il commercio all’irlandese Phil Hogan.

Intanto, dopo le sei sconfitte in sei giorni subite in aula, che ne fanno probabilmente il primo Primo Ministro ad aver perso la maggioranza all’inizio dell’incarico senza ancora essere riuscito a far passare una mozione – ultima solo in ordine di tempo quella di elezioni anticipate – Boris Johnson è riuscito lunedì a sospendere (prorogare) il parlamento. Una procedura prevista dalla secolare consuetudine della costituzione non scritta ma non per questo meno controversa, che ha bellamente resistito alle azioni legali finora intentategli dal furibondo e assortito fronte multipartisan del remain, e che non è passata senza le rimostranze del parlamento, con frotte di deputati che gridavano «vergogna», alcuni brandendo cartelli con scritto «azzittito» e altre manifestazioni mediterranee che mai si sarebbero immaginate nella placenta del parlamentarismo.

Altri, inferociti, membri del parlamento hanno perfino cercato di impedire al dimissionario Speaker Bercow, inviso ai partigiani dell’uscita a tutti i costi, di lasciare il seggio, ostacolandolo in maniera analoga a una simile pratica occorsa nel 1629, quando il suo lontano predecessore fu “inchiodato” al seggio, allora per impedire al decapitando Carlo I di fare la stessa cosa, sospendere il parlamento. Dopo questa catartica eruzione d’italianità l’aula chiuderà i battenti fino al 14 ottobre. Il premier ha definito le critiche alla sua azione unilaterale «senza senso», insiste che c’è ancora modo per un accordo con Bruxelles che eviti il no-deal il 31 ottobre e ha riaperto le discussioni col Dup, il partitello arci-unionista nordirlandese che faceva da gruccia al governo May in cambio di un sacco di soldi (per la regione, s’intende).