C’è chi ritiene di poter affrontare il tema delle occupazioni limitandosi a rilevare che si tratta di situazioni illegali, alle quali è necessario mettere fine senza porsi ulteriori problemi.
Non si tratta, per la verità, di chissà quale rivelazione. Della posizione irregolare di chi vive in un immobile occupato siamo consapevoli tutti: né tentare di comprendere il fenomeno più a fondo equivale a sventolare la bandiera dell’occupazione come ideologia e metodo politico.
La questione, come si dice in questi casi, è molto più complessa. E richiede lo sforzo di cogliere e se possibile affrontare in modo razionale, tenendo conto di tutti i fattori in campo, il mondo estremamente sfaccettato che le occupazioni ci raccontano. Un mondo che, al netto delle degenerazioni che pure esistono e vanno condannate, ci parla anche della marginalità che caratterizza le periferie delle nostre città e delle sue cause profonde, di opportunità negate, di diseguaglianze crescenti, di strumenti di sostegno e inclusione che sarebbe indispensabile elaborare e mettere in campo, ma a cui pochi ritengono importante dedicare anche una riflessione seria.
La risposta del governo a queste esigenze è una chiarissima e spaventosa deriva poliziesca che va sistematicamente nella direzione della repressione, dell’uso della forza come modello di risoluzione dei conflitti, dell’accanimento sui più deboli eretto a visione del mondo e a strumento di consenso, di una lotta alla povertà proclamata che finisce per diventare, nella sua declinazione concreta, una vera e propria lotta contro i poveri.
La nuova stagione degli sgomberi che si è aperta a Roma con l’operazione di Cardinal Capranica di tre giorni fa, a cui ho assistito con i miei occhi durante una lunghissima nottata, sembra orientata proprio su questa direttrice: massicci spiegamenti di forze di polizia, degni di operazioni di ben altra importanza, esibizioni muscolari di sicuro impatto mediatico, proclami di “tolleranza zero” e poche, pochissime alternative offerte ai destinatari dei provvedimenti.
Non è un caso che gli occupanti della scuola di Primavalle, in uno scenario che ha visto un intero quartiere circondato da decine di blindati fin dalla mezzanotte di domenica, abbiano ricevuto dal Comune di Roma qualche (vaga) informazione su quanto veniva loro offerto solo alle luci dell’alba del lunedì (tranne qualcuno di loro, contattato in modo informale un paio di giorni prima): e non è un caso che, a fronte di un’organizzazione scientifica e imponente delle forze di polizia, le soluzioni alternative siano state emergenziali, inadeguate e precarie. Una contrapposizione evidente e dissonante tra la macchina perfetta della repressione da un lato e l’approssimazione delle politiche sociali dall’altro, nella quale non si può non leggere, neppure troppo in controluce, l’intenzione di mettere in piedi un sensazionale show mediatico sulla pelle dei più deboli maldestramente mascherato da affermazione della legalità.
Di fronte a tutto questo, di fronte a una situazione che vede il disagio abitativo allargarsi, di fronte alla necessità di mettere in campo politiche sull’abitare che tengano conto di una realtà nuova e molto diversa anche solo da quella di dieci anni fa, di fronte alla sfida di decodificare la complessità di quanto abbiamo davanti agli occhi per conquistare chiavi di comprensione della realtà che evidentemente ci mancano, liquidare la questione ricordando al paese che occupare gli immobili è illegale non è soltanto inutile, ma addirittura pericoloso.
Si tratta, piuttosto, di occuparsi una volta per tutte di una situazione incancrenita da troppi anni, non governata e gestita a forza di proroghe, sanatorie e provvedimenti emergenziali che di fatto hanno segnato l’abbandono del campo da parte delle istituzioni, elaborando idee, azioni e politiche pubbliche che possano finalmente risolvere il problema della casa in modo complessivo ed efficace.
L’attacco legalitario di Salvini passa anche, e forse soprattutto, da quanto è mancato negli anni che lo hanno preceduto, e fa leva proprio su quelle mancanze: affermando l’uso della forza come unico strumento in grado di risolvere ciò che prima di lui si è scelto di non affrontare.
*consigliere +Europa Radicali italiani alla Regione Lazio