Non è una novità che anche dove tutto sia noto di un artista si possa scoprire dell’altro, così tanto da permettere di leggere sotto una nuova luce le sue opere.
Con la mostra Fortunato Depero / Gilbert Clavel Futurismo = Sperimentazione Artopoli, allestita al m.a.x. museo di Chiasso (fino al 7 aprile) ci s’imbatte in una di queste situazioni. Come scrive Gabriella Belli in catalogo (Skira) la storia dell’incontro tra l’artista futurista con lo scrittore basilese era «ben conosciuta» e inoltre «amplissima la bibliografia» dedicata alla loro collaborazione, tuttavia, senza il lavoro di scavo storiografico di Nicoletta Ossanna Cavadini (curatrice con Luigi Sansone dell’esposizione ticinese) svolto negli archivi privati e pubblici (Archivio di Stato di Basilea, Getty Center di Los Angeles), integrando i documenti nel Fondo Depero al Mart di Rovereto, non si sarebbe così bene delineata la storia e il carattere delle due figure, che insieme giocano un ruolo rilevante nella storia dell’arte del Novecento.

PER COMPRENDERE appieno il breve sodalizio tra Depero (1892-1960) e Clavel (1883 -1927) occorre sostare davanti all’«emblematica» gigantografia (Depero Clavel. Mimica! 1917) collocata all’inizio del percorso espositivo. In quello scatto si rappresenta il momento più intenso della loro collaborazione che inizia nel 1916 a Roma, per merito di Michail Semënov, scrittore e promotore dei Ballets Russes di Sergej Djaghilev, e finirà nel 1919 quando Depero deciderà di aprire a Rovereto la sua Casa d’arte futurista.
Si tratta di uno scatto che allude, come fa notare Federico Zanoner, al Teatro Plastico e «immortala una sorta di perfomance» ante litteram. Depero tiene sulle spalle dei legni che sono l’attrezzatura per il movimento dei fili delle marionette, mentre Clavel sorridente di lato ha sulla testa un grosso imbuto. Sulla paternità dei Balli Plastici, in altre parole sui reciproci ruoli avuti dal pittore e dallo scrittore, si concentra parte della mostra.

Tutto ha inizio dopo il fallimento dell’artista roveretano nel realizzare per Djaghilev la scenografia di Le chat du rossignol (dal poema sinfonico di Stravinskij) a causa di un indifferente riscontro di pubblico che ebbero le rappresentazioni avanguardistiche e alle difficoltà economiche incontrate da Djaghilev in quel momento. Depero accetta così da Clavel, con il quale è nata una spontanea simpatia, l’incarico di illustrare il suo libro Un istituto per suicidi (1917). Raggiunta Capri con sua moglie Rosetta, Depero occupa il suo tempo, oltre che per illustrare la novella, anche per sviluppare insieme a Clavel l’idea di un teatro sperimentale, antinaturalistico e composto di «unità plastiche» (marionette) mosse al solo ritmo della musica.
Il primo e unico frutto di questo progetto sarà il debutto nel 1918 dei Balli Plastici, al Teatro dei Piccoli di Roma. Dopodiché l’esperienza, eseguite poche repliche, può dirsi conclusa.
Di quello spettacolo, perse tutte le marionette, non ci resta che ammirare le rare fotografie e alcune ricostruzioni per immaginare le sagome in legno colorate muoversi sulle note di Casella, Malipiero, Tyrwhitt, Béla Bartok.

«IL CONTRIBUTO di Clavel fu fondamentale per quello spettacolo, non solo per i mezzi finanziari di cui disponeva – scrive Ruedi Ankli in catalogo – ma anche per l’influenza culturale che sicuramente esercitò su di lui»: qualcosa di più di una «collaborazione alla coreografia», come indica la locandina dello spettacolo, o di un ruolo marginale nella creazione artistica, come fa intendere Depero nella sua autobiografia (1940).
È dalla ricostruzione dell’effettiva relazione che egli stabilì con Clavel che si delinea con più precisione la stessa figura dello scrittore svizzero, sulla quale la mostra apre nuove prospettive di ricerca. Si è trattato di riannodare, come ha fatto Luigi Sansone, le molteplici vicende e di addentrarsi tra artisti, letterati, aristocratici e bohémien, italiani e stranieri, attratti tra le due guerre dal «liquido paradiso» (così Marinetti definì Capri) dove si ostentava l’invenzione futurista per creare l’utopia di «Artopoli»: spazio isolano per tutte le arti.
Per Clavel Capri, Anacapri e Positano, «rifugio di ogni eccentrico originale», saranno i luoghi nei quali rinascere a nuova vita, lo spazio che darà sollievo alla sua salute cagionevole che dalla nascita lo perseguita insieme alla sua malformazione fisica.

Quando scopre nel 1907, in occasione del suo primo tour in Italia, le bellezze della costa e delle isole partenopee sceglie di lasciare Basilea. Nel 1909 compra la Torre di Fornillo, una fortificazione della metà del Cinquecento che come ci riferisce Carlo Knight (Capri, 1999), faceva parte del programma di difesa costiera voluto dal viceré Pedro de Toledo. Ridotta in rudere, trascorrerà quasi tutta la sua esistenza per ricostruirla e abitarla, tra continui ripensamenti del progetto e ampliamenti sotterranei con la dinamite nella roccia.
Il significato che assume la Torre è annotato nel suo diario: «Non v’è giorno in cui essa non m’invii, nelle forme più impensate, qualche misterioso messaggio. Una notte ho udito una voce, la quale mi diceva che dovevo farne un esempio d’architettura futurista. Ed ero sul punto di partire, pronto a realizzare una costruzione rivoluzionaria, capace di dimostrare l’infondatezza di tutte le regole architettoniche del passato».

HA BENE EVIDENZIATO Ossanna Cavadini il carattere «neopagano» della Torre: «un luogo che ottempera ai requisiti di culto degli antichi, compreso il mito delle Sirene». Dal nome delle creature mitologiche che prende l’isola che si scorge dalla Torre, Clavel intitola una sala descritta in mostra in una maquette coeva, mentre uno schizzo prospettico di segno espressionista racconta la Sala della Musica a forma ovoidale e sotterranea, purtroppo mai realizzata.
Nella Torre la presenza di Depero si palesa nel progetto del camino. È originale come questo si configuri come l’embrione del deperiano Padiglione della Venezia Tridentina (1924) alla Fiera di Milano: entrambi cuspidati e stereometrici.
Le stanze della Torre, illustrate con una serie di fotografie vintage e con disegni degli arredi di mano dello stesso scrittore, rinviano a significati archetipi e simbolici. Vi confluiscono i temi sviluppati nella novella Un istituto per suicidi: un luogo alieno che allude alla possibilità di riconciliarsi dopo la morte con la natura e la realtà extra mondana.
«La morte per Clavel – scrive ancora Ossanna Cavadini – non ha un’accezione negativa, rappresenta la trasformazione dell’esistenza individuale, la dissoluzione di una vita materica che torna a far parte del caos mitologico in cerca di nuove forme».

L’incontro con il Futurismo, ovvero con Depero, è solo l’ultima delle passioni che afferra e entusiasma Clavel. È il finale e fortuito elemento che confluisce nella poetica clavelliana composta dalla miscela dei suoi studi classici (Bachofen, Wölfflin, Nietzsche, Burckhardt), della passione per la pittura simbolista (Böcklin) e delle avanguardie storiche (Cubismo, Dadaismo) e del richiamo per l’archeologia dell’antico Oriente, come testimoniano i suoi viaggi in Egitto.
Il contatto visivo con le numerose raffigurazioni di Clavel nei disegni e dipinti di Depero, trasfigurato in una sagoma meccanica, irrigidita e gobba, che non sfigurerebbe nel repertorio delle marionette dei Balli Plastici, è un eloquente motivo per confermare il peso dello scrittore nell’opera dell’artista e l’occasione per una più completa lettura del Futurismo.

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SCHEDA. Futurismo a Treviso e nel Meridione

In coincidenza con l’esposizione ticinese, si segnalano due mostre sul Futurismo. La prima a Treviso, presso il Museo nazionale Collezione Salce, «Immaginare l’universo con l’arte della pubblicità» (fino al 30/6), seguito della precedente «Futurismo di carta, Forme dell’avanguardia nei manifesti della Collezione Salce», a cura di Elisabetta Pasqualin (con Sabina Collodel): completa, con manifesti dal 1930 al ’40, il racconto iniziato negli anni Dieci con la creazione di un’«arte pubblicitaria», che vide in Depero l’inventore di un originale stile tipografico.
L’altra è a Palazzo Lanfranchi di Matera, «Futurismo italiano, il contributo del Mezzogiorno agli sviluppi del Movimento» (fino all’8/4), a cura di Massimo Duranti. Sulle tracce lasciate da Enrico Crispolti con «Futurismo e Meridione» (1996), sono messi a confronto artisti che espressero una vitalità di ricerche in aderenza con l’estetica marinettiana. Cataloghi Gangemi editore