Un tassello che viene a integrare l’esperienza basagliana degli anni Sessanta, un materiale prezioso riportato alla luce, compone il film documentario “Eccoli” a cura di Stefano Ricci realizzata con il montaggio di materiali inediti della Collezione Osbat Basaglia di proprietà della Mediateca provinciale «Ugo Casiraghi».
Nel ’58 Basaglia ottiene la libera docenza in psichiatria, ma l’ambiente accademico accoglie ostilmente le sue idee rivoluzionarie e lui decide di abbandonare l’insegnamento universitario e nel 1961 si trasferisce a Gorizia dove dirigerà l’ospedale psichiatrico, dove cerca di mettere in atto le sue idee (per prima cosa, senza che appaia una frivolezza, costruirà la pista da ballo che ancora oggi si può vedere), avvia la prima esperienza anti-istituzionale trasferendo il modello della comunità terapeutica nell’ospedale. È del ’67 il suo “Che cos’è la psichiatria?” e del ’68 “L’istituzione negata. Rapporto da un ospedale psichiatrico”, quello di Gorizia appunto dove apre laboratori di musica e teatro. Lascerà la città nel ’69 per Parma e poi Trieste.
Ed eccoli infatti i protagonisti di una stagione unica e rivoluzionaria, una delle poche che è emersa dal crogiolo di idee di quegli anni e a parte le poche altre che si sono potute affermare dopo quegli anni non hanno trovato gli interlocutori giusti per essere applicate in tutta la sua interezza. Da pellicole girate durante i laboratori di musicoterapia arrivano fino a noi piccoli brani di vita di persone che, disposte un un cerchio magico sembravano ritrovare un po’ alla volta il ritmo della vita. È la musica stessa applicata a quei gesti a farci rendere conto dopo qualche sequenza che siamo entrati anche noi in quel cerchio a scandire il tempo con il suono che arriva come da lontano, ci vorremmo sforzare di legare movimenti e sonoro, ma si è frantumato il collegamento e la difficoltà di collegare tutti i pezzi della percezione li sentiamo in prima persona, proprio come i protagonisti della scena. Complice del sortilegio anche il fatto che il sonoro originale è andato perduto, sono le musiche del contrabbassista Giacomo Piermatti a sonorizzare la pellicola 16 millimetri girate da Giorgio Osbat all’ospedale psichiatrico provinciale di Gorizia (e digitalizzati a cura del Laboratorio «La Camera Ottica» di Udine). Il crescendo di coinvolgimento di gruppo ha nel montaggio di Jacopo Quadri il fattore altrettanto sorprendente di composizione artistica in un crescendo di abilità acquisite: muovere le mani al suono della ritmica non sembra così semplice o batterle in sincronia: ed eccoli chi diligente, chi abbandonato nella sua apatia, chi si sforza, chi guarda in camera e poi tutti intorno alla grancassa con le bacchette o con le mani. Dopo il laboratorio degli uomini ecco quello delle donne che appaiono più diligenti, più obbedienti (e forse per quello sono state rinchiuse), ma anche più avvezze al movimento e ai sorrisi. Un po’ alla volta compaiono i semplici strumenti musicali, il cimbalo, i tamburelli, il flauto, lo xilofono, il mandolino, perfino il popolare violino, fino a formare una vera e propria orchestra con il contributo di tutti. E poi tutti in assemblea tra le dimenticate nuvole di fumo, i giovani, gli anziani, le infermiere e Basaglia a confrontarsi tra di loro. E si organizza una festa per tutti con la musica dei 45 giri nella sala addobbata con festoni di carta, sulla famosa pista da ballo.
Nel giardino dagli alberi spogli, compagni di passeggiate silenziose, si guarda la città dalla recinzione di ferro. Ma ecco che compaiono infine i sorrisi al suono di uno strumento anomalo ma altrettanto ritmico, il martello, con cui si abbattono le reti che circondano la struttura: non c’è più nessuna barriera tra il chiuso del manicomio e il resto della città. Tra il ’61 e il ’69 non sono ancora gli anni di Trieste e a Gorizia Basaglia oltre alle sedute di musicoterapia fa crollare un altro tabù, mette fine un po’ alla volta alla netta separazione tra reparti maschili e femminili, come si vede nei laboratori, rende possibili quindi le assemblee autogestite dagli internati. E non bisogna dimenticare il fuoricampo: in quegli anni la stampa più avanzata mostrava servizi con fotografiche inedite, gli orrori di alcuni altri manicomi, i letti di contenzione, l’abbandono, lo stato di morte civile in cui versavano quegli esseri rinchiusi e catatonici, mentre nel film appaiono evidenti i risultati della rivoluzione basagliana.
Il film sarà presentato il 5 aprile, accompagnato da una pubblicazione fotografica a cura di Stefano Ricci (ed. MamiVerlag) dove si può ritrovare il lavoro di Basaglia in quegli anni, i tentativi di attivare la «comunità terapeutica» mutuata dall’intuizione di Maxwell Jones in Scozia, le nuove regole di organizzazione e di comunicazione, il rifiuto delle contenzioni fisiche e delle terapie di shock, le assemblee di reparto e plenarie, la vita comunitaria. Il documentario sarà successivamente presentatato il 7 aprile a Trieste, Studio Tommaseo, il 31 maggio a Modena, Galleria D406 Arte Contemporanea, il 13 giugno a Bologna, Squadro Stamperia Galleria d’arte, il 30 settembre a Niort, Francia, Le 4ème Mur e il 5 novembre a Mannheim, Germania, Zeitraumexit.