La copertina mostra il bel titolo in rosso: La camiceria brillante dei miei anni. Si tratta della seconda raccolta poetica di Simona De Salvo. Il libro esce nella collana Sottotraccia diretta da Antonio Bux per Marco Saya Edizioni (pp.71, euro 10), casa editrice molto attenta alla contemporaneità dei linguaggi e alle voci poetiche che si stanno rivelando ora.

La camiceria brillante dei miei anni è un libro generazionale. Parla del suo tempo. Somiglia a un armadio lasciato aperto in qualche stanza in subaffitto: camiceria brillante, forse un grembiule da lavoro.
«Dentro di me c’erano Giddens, Bauman il pensiero sociologico, c’era / mio padre», intorno all’armadio una generazione di laureandi studiosi, di laureati a spasso: «Vuoi fare le pulizie per noi? Vuoi lasciare l’Università? / … Ti va di cucinare qualcosa?»

Non tutti, no, ma qualcuno lavora tre mesi per un solo biglietto d’aereo. Qualcuno infila prodotti infiammabili in buste di plastica. Qualcun altro viaggia in treno con la boccia del pesce rosso tra le braccia. Dolenti, distratti, lì a chiedersi sempre chissà com’è andata, come andrà. La poesia di Simona De Salvo lo dice: se sarà fortunato lo studente lavorerà dodici ore al giorno. Altrimenti, niente! Sfilano ritratti, figure in controluce: «Ah, sì, me ne andai a sedici anni / Ah sì a quell’epoca non avevamo un soldo».

Neolaureata in filosofia Simona De Salvo, chiuso un periodo da barista, inizia la sua collaborazione con un ufficio di selezione del personale ed è redattrice editoriale per la rivista indipendente di poesia e cultura «NiedernGasse»: si interroga sulla parola. Ma che posto occupa la parola se sei giovanissima e percorri veloce Via Flarer con le chiavi nel reggiseno? La parola è tua, sì, la parola ti vien data nascendo: riscàttala. È così che nasce la scrittura poetica: è una presa di coscienza che scavalca il diritto verso l’alto, là dove si apre un territorio inaspettato.

Il libro fluisce in sei sezioni e un epilogo, mentre compaiono dediche ad Anne Sexton, al poeta rumeno Mircea Cartarescu, a Raffaello Baldini: citazioni che sembrano sassolini, tracce scritte che portano fino al cerchio metallico di Rho, fino alla ricerca di una stanza da condividere in qualche città della Lombardia: c’è sempre un io, c’è sempre un tu.
Ci sono due che si fronteggiano, si parlano, sul pavimento le bollette e sul fornello il cielo. Passato e futuro sul rullo trasportatore. «E c’era il Politeama alle nostre spalle /… e l’immensità del cosmo, infine, appena dopo l’elettrauto / l’iperspazio». Sì, c’è un’idea speciale di spazio nella poesia di Simona De Salvo, un’idea, una misura disumana, c’è un rapporto diverso tra l’immenso e il minuscolo: «sembrava un fenomeno interstellare».

La parola poetica di Simona De Salvo è la nostra coinquilina, ci è davvero contemporanea: vive con noi, osserva e registra al volo. Come nella poesia di quei due con la vita di carta stagnola in mano : la vita da un lato e una caramella dall’altro: «è quello che ti posso offrire, mi dicesti / Me la prendo, ti risposi». Che cosa? La vita o la caramella? La camiceria brillante dei miei anni non dà indicazioni: ma quando l’Apocalisse si avvicina i versi sgorgano – come dopo aver stappato una birra – e il silenzio è rotto dal miagolare di un gatto – in gabbia, lui – sulle ginocchia d’uno studente libero, fuoricorso.