Se le luci su Kassel si sono spente in settembre con la fine di documenta 15, il sipario resta ancora alzato sulle tante questioni aperte da questa edizione, curata dal collettivo indonesiano ruangrupa. Il nuovo libro di Marco Enrico Giacomelli, dal titolo Ma dove sono le opere d’arte? (Castelvecchi, pp.176, euro 18,50), prende così le mosse proprio dall’affaire documenta 15, stilando un glossario di riferimento. E sì, perché orientarsi nel campo dei linguaggi visivi della contemporaneità non è di certo cosa semplice, a maggior ragione se questi vengono portati nel cuore della musealizzata Europa da un’organizzazione non profit, con sede a Giacarta, che non produce opere – tradizionalmente dette – ma progetta mostre, festival, laboratori, workshop, ricerche e pubblica libri, riviste e magazine online. E viene da chiedersi: se l’Europa perdesse la sua centralità nel raccontare la storia dell’arte, quali sarebbero le categorie estetiche a cui fare riferimento per costruire un nuovo racconto?

UNO SGUARDO DIVERSO è sbarcato così a Kassel, quell’avamposto dell’Assia settentrionale dove dal 1955 – anno della nascita di documenta – ogni cinque anni si cerca di tenere fede alla missione originaria: «documentare» non solo l’arte ma in generale il pensiero europeo. Giacomelli con il suo libro rilancia e continua, con altri mezzi, le discussioni intavolate nel corso della rassegna e sceglie di stilare un glossario, rendendo così la lettura sufficientemente chiara a chi volesse approcciare i linguaggi dell’arte di oggi. Perché la risposta alla domanda «dove sono le opere d’arte?» va ricercata sia in quello sguardo lontano dal sistema, ma anche e soprattutto in quel «dAPERTutto», di veneziana memoria, che da diverso tempo ormai rimbalza opere e corpi dai luoghi deputati (come musei e gallerie) a quelli non deputati (come piazze, dimore private, interi quartieri– meglio se periferici – etc etc). E la scelta delle voci da inserire in questo manuale d’istruzioni per l’uso ne è testimonianza. Sono infatti ventuno le parole che costituiscono il glossario: da Arte a Zoe, passando per Bdsm, Classe, Documenta (rio), Ecologia, Femminismo, Genere, Holobiont, Israele, Lumbung, Musica, Negazione, Ook, Personali, Quiet Space, Ruangrupa, Sedi, Tempi, Universalismo, Volumi.

ALCUNE PREVEDIBILI, altre un po’ bizzarre, altre ancora stuzzicanti, tutte attingono da quel blob che è stata documenta 15; alla fine del volume trova posto un apparato bibliografico imponente, utile a districare citazioni e definizioni. Allora cos’è l’arte secondo Giacomelli? È qualcosa di potenzialmente attivo, un «campo di forze la cui arbitrarietà è in perenne rinegoziazione». Un campo, dunque, mutuando il termine dalla sociologia e dalla fisica, lontanissimo dal sistema tassonomico di stampo settecentesco, in continua trasformazione, che interseca le forme di rappresentazione dei linguaggi visuali con i fattori culturali, e quindi tecnologici, politici, economici, sociali, psicologici dei territori.
Ed ecco che si costruisce quel lumbung, letteralmente «granaio del riso», che ruangrupa ha indicato come il perno di tutta la sua documenta: esso prende forma, attingendo ai concetti di pluralità e di comune, andando a caratterizzare un nuovo sistema di valori che vorrebbe risignificare lo stato come lo statuto delle opere d’arte. Lodevole il tentativo, meno l’uso del qr-code per generare le immagini che lega il lettore a quella protesi tecnologica a cui non si vorrebbe ricorrere, almeno il tempo di un libro.