E’ partito ieri da Gerusalemme il Giro d’Italia numero 101. Dopo la cronometro individuale di circa 9 Km, oggi il Barnum delle due ruote, come lo chiamava Vasco Pratolini, entra nel vivo con una tappa di 167 Km Haifa – Tel Aviv, e domani Be’er Sheva- Eilat di 229 Km, al termine della quale il Giro, dopo un giorno di riposo, ripartirà dall’Italia con la tappa Catania – Caltagirone di 191 km per concludersi il 27 maggio a Roma. Gli organizzatori, dopo l’edizione numero cento dell’anno scorso, hanno voluto quella del 2018 fuori dall’Europa. Il motivo ha una duplice importanza: è dedicato a Gino Bartali, campione di primissimo piano del ciclismo italiano e mondiale tra gli anni Trenta e Cinquanta, che si è aggiudicato più volte la maglia rosa e per due edizioni, 1938 e 1948, anche il Tour de France. In occasione del Giro di quest’anno, a Gerusalemme il campione toscano è stato insignito della cittadinanza onoraria israeliana. Inoltre nel 2018 cade l’ottantesimo anniversario della promulgazione delle leggi razziali ad opera di Mussolini. Gino Bartali nel 2013 è stato dichiarato “Giusto tra le Nazioni” per aver ospitato in casa sua, durante l’occupazione nazifascista, la famiglia ebrea di Giorgio Goldenberg, Nel 1943 Bartali era già un affermato campione, effettuò in bici numerose volte Firenze-Assisi e Firenze-Genova trasportando, nascosti nel telaio della bicicletta, documenti falsi che consentirono a centinaia di ebrei e di perseguitati politici dal regime nazifascista di mettersi in salvo. Gino Bartali, nonostante le raccomandazioni del padre di non mischiarsi con la politica, su richiesta del cardinale di Firenze Elia Dalla Costa, esponente della chiesa fiorentina di provata fede antifascista, non esitò ad aderire alla rete clandestina organizzata dal prelato fiorentino, mettendo a rischio il suo prestigio sportivo, la sua famiglia e gli ebrei che aiutava.

Il toscano si levava di buon mattino, quando era ancora buio e con la scusa degli allenamenti da Ponte a Ema dove abitava, vicino a Firenze, raggiungeva Assisi dove al convento dei francescani incontrava di nascosto frate Ninacci, riferimento in loco del cardinale Dalla Costa, per consegnargli le foto da apporre sulle carte d’identità falsate e consentire a intere famiglie di ebrei di raggiungere quella parte dell’Italia liberata o almeno sfuggire alle persecuzioni nazifasciste. In Italia erano emigrate anche famiglie di ebrei provenienti dalla Francia e dalla Svizzera, dove l’occupazione nazista aveva reso impossibile la loro vita e le deportazioni si erano fatte più consistenti rispetto all’Italia, perciò il carico della falsificazione dei documenti era diventato enorme. Fu così che frate Ninacci si rivolse a una vecchia conoscenza il tipografo Luigi Brizi, ateo e comunista, al quale spiegò la necessità di un suo impegno. Il tipografo con la sua esperienza produsse nel retrobottega documenti d’identità perfetti, con grande soddisfazione del cardinale Dalla Costa, con l’aiuto del figlio Trento, era riuscito a scolorire foto tessere recenti per farle sembrare vecchie e non dare nell’occhio. I Goldenberg divennero Maionica e i Frankenthal la famiglia Franchi. Il tipografo Luigi Brizi si procurò elenchi telefonici di alcune regioni dell’Italia liberata dagli alleati, dai quali prelevava i cognomi da apporre sulle carte d’identità false, in questo modo i nazifascisti non avendo il controllo su quelle regioni, non avevano alcuna possibilità di verificare la veridicità dei documenti. Un giorno mentre Luigi Brizi portava i documenti falsi al convento di Assisi, vide uscire Gino Bartali dalla porta laterale dell’ufficio del frate e grande fu la sua emozione nell’incrociarlo, fu allora che il francescano Ninacci confessò al tipografo che anche il campione aveva un ruolo importante nella rete clandestina di sostegno agli ebrei.

Spesso, per non dare nell’occhio, Gino Bartali faceva da casa sua ad Assisi in bicicletta andata e ritorno in giornata, un percorso di oltre trecento chilometri. Alla moglie Adriana Bani, diceva che andava ad allenarsi, senza mai comunicarle la destinazione, per non impensierirla e metterla in pericolo. Un punto di snodo ferroviario importante per le famiglie ebree, che cercavano di raggiungere Assisi, era la stazione di Bastia Umbra, un comune tra Perugia e Assisi, particolarmente pattugliato da soldati fascisti e dalle SS. Più volte Bartali, informato preventivamente da Ninacci, in coincidenza dell’arrivo di un treno sul quale viaggiavano alcuni ebrei, si fermava al bar della stazione con la scusa di mettere a posto la bici e di prendere un caffè, richiamando cittadini e curiosi, suoi tifosi, e con loro le pattuglie nazifasciste che controllavano in maniera serrata la stazione, nel tentativo di distrarli e consentire agli ebrei di scendere dal treno proveniente da Perugia e di salire sul treno diretto ad Assisi. Di quel suo impegno a favore degli ebrei perseguitati dalle leggi razziali, Gino Bartali, anche dopo la Liberazione, non fece mai menzione, per quanto in giro se ne parlasse.

L’omaggio che la Gazzetta dello Sport, quale organizzatrice della corsa rosea, ha voluto dedicare a Gino Bartali in occasione del Giro d’Italia 2018 e degli ottanta anni delle leggi razziali, facendo partire la corsa da Gerusalemme e includendo altre due tappe in terra israeliana, rappresentano una scelta condivisibile e confermano quanto sosteniamo da tempo, che la storia dello sport è parte integrante della storia politica. In nome di questo principio non si può ignorare la politica aggressiva ed espansionistica di Israele verso i territori occupati, i cecchini israeliani che sparano sui dimostranti palestinesi, alcuni tra i morti e i feriti sono ragazzi quindicenni, impegnati dal 30 marzo nella Marcia del Ritorno. Prevedere una tappa del Giro d’Italia anche nella Striscia di Gaza, avrebbe aiutato la causa del popolo palestinese, siamo sicuri che Gino Bartali avrebbe condiviso, insieme al frate di Assisi Ninacci e al tipografo comunista Luigi Brizi.