La moda è favolosa quando analizza se stessa assumendosi le proprie responsabilità. Che poi sono quelle che riguardano il condizionamento della vita, delle abitudini, del costume di chi la usa, molto spesso nell’inconsapevolezza di uomini e donne e della cultura che adottano quelle abitudini, e quindi quel costume. Il Metropolitan Museum of Art di Ny ha appena annunciato la sua mostra d’autunno del suo Costume Institute, Death Becomes Her: A Century of Mourning Attire, che si potrebbe tradurre La morte ti fa bella: un secolo di abiti da lutto.

Dal 21 ottobre 2014 al 1 febbraio 2015, nel nuovo Anna Wintour Costume Center si potranno studiare oltre 30 abiti da lutto in un periodo che va dal 1815 al 1915, compresi quelli della regina Vittoria e di sua nuora Alexandra di Danimarca, diventata regina consorte per aver sposato Edoardo VII, figlio di Vittoria. Della prima si sa quanti lutti addusse agli inglesi: rimasta vedova, nel 1861 a 42 anni, del suo amatissimo Albert da cui aveva avuto nove figli, si vestì di nero per altri 40 anni, fino alla fine dei suoi giorni e del suo regno nel 1901. Di Alexandra si sa, invece, che alla sua epoca era ritenuta la donna più fashion-conscious del mondo e, per questo, dettava la moda del suo tempo.

Rimasta vedova nel 1910 si vestì di nero fino al 1925, quando morì. Victoria inventò la pruderie inglese, fino al punto che, non portando lei le mutande perché riteneva che fossero un nuovo indumento adatto alle donne dedite alla prostituzione, impose alla corte la stessa abitudine. E quando morì suo marito inventò i famosi gioielli di jais o di jet (il primo è una pietra, il giaietto nero, il secondo è un fossile), tutti neri ma realizzati con una lavorazione così preziosa che oggi costano moltissimo nelle boutique di gioielleria antica.

Durante i suoi 64 anni di regno, con la sua mentalità retrograda e conservatrice, che nascondeva bene dietro il perenne lutto, Victoria diede il via a quella pruderie da sagrestia che poi condizionò anche tutto il falso perbenismo della società americana. Un condizionamento a cui la moda non è stata indifferente. Gli abiti di Victoria, e poi quelli di Alexandra, introdussero definitivamente la moda nella ritualità del lutto, dall’abbigliamento al comportamento, per cui da allora le vedove di ogni longitudine e latitudine occidentale si sentirono obbligate a vestirsi di nero anche per aderire al sentire comune della loro società. Harold Koda, il curatore del Costume Institute che ha lavorato alla mostra con Jessica Regan, dice che «l’abbigliamento è un fattore molto attivo nelle manifestazioni delle emozioni umane poco visibili dall’esterno. Dall’inizio dell’800, l’abito nero diventa una manifestazione fisica del dolore e uno strumento per interagire con il lutto stesso». Arrivato il 1900, si dovranno aspettare Coco Chanel e gli Anni 30 perché il nero potesse essere indossato alle feste e Rei Kawakubo negli Anni 70 perché diventasse il colore più alla moda per tutte le 24 ore.
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