«Portami il girasole impazzito di luce»: l’omaggio a Montale, in italiano, è l’epigrafe di Lawrence Ferlinghetti a «Surreal Migrations» («Migrazioni surreali», in Blind Poet – Poeta Cieco, Giunti 2003, traduzione italiana di Antonio Bertoli), la poesia contenuta in How to Paint Sunlight (Come dipingere la luce) l’edizione paperback del 2001 pubblicata, come molte sue poesie, da New Directions (New York), sulla costa opposta dell’America rispetto a San Francisco, dove è nata, poi fiorita, l’allora «notoria» (anni Cinquanta) City Lights Booksellers and Publishers.

SULLE TRACCE del pittore Edward Hopper, il cui desiderio è «dipingere la luce del sole sulle facciate delle case», Ferlinghetti, come il «romantico irrazionale e visionario» che dipinge la solitudine, costruendo oggetti, corpi e sensazioni con la luce, per il quale «la luce viene prima e l’oscurità non è che un’ombra fugace da eliminare con più luce» («A Word»).

Ed eccolo a compiere, con la leggerezza di un bimbo sulla giostra (light, in inglese, traduce «luce» ma anche «leggero») un frenetico giro intorno al mondo, da Praga (dove Jan Hus ha cercato la libertà dall’oppressione) attraverso fiumi, mari, oceani, sempre in direzione ovest, impaziente e di raggiungere il lontano Oriente, il Medio Oriente, il Nord Africa, l’Ellesponto e il Mediterraneo fino alla penisola italica, dove, incalzato dal tempo come il Bianconiglio nel Paese delle Meraviglie, si fionda in discesa attraverso brevi versetti a scalini, approfittando di una lingua nativa, l’inglese (per la verità, parlava anche francese da piccolo), di cui sfrutta i molti monosillabi sui quali facilmente scivola da un fiume all’altro: «Across the rivers of the world/ Across the Rhine/ Across the Rhone/ Across the Seine/ Across the Thames/ Across Anna Livia’s Liffey/ Across Atlantic/ Across Manhattan/ Across Great Hudson/ into the heart of America» e si chiede «Where is the light?».

GIÀ, DOV’È LA LUCE per gli Europei, gli Italiani (come suo padre, insiste, ma non è dato averne certezza), che emigravano in cerca di lavoro, inseguendo il sogno americano, e che emigrano ancora in America? La poetica del fiume di Ungaretti («Questi sono i miei fiumi», ha scritto emulando l’Italiano), l’immagine del girasole di Montale «che conduce/ dove sorgono bionde trasparenze/ e vapora la vita quale essenza», il Paradiso di Dante dove il viaggio termina (ma il suo Paradiso, di Lawrence, è diverso!), da questi e altri ancora Ferlinghetti assorbe citazioni e motivi, parole e musica: «Surreal migrations of words/ somewhere between speech and song» (Migrazioni surreali di parole/ da qualche parte tra discorso e canzone). Tra l’ansia (l’artista ne soffre) e lo spasso (il poeta – Shakespeare docet – inventa pun per puro divertimento) Ferlinghetti, come Montale, interroga la vita per far luce sull’esistenza umana e decifrarne il mistero. Trapiantare il girasole è il sogno del migrante, il girasole la metafora per la luce come vitalità, cambiamento, visione del futuro, verità. La luce come panorama di culture, linguaggi, identità plurime.

«What is Poetry?», si chiede Ferlinghetti nel suo Poetry as Insurgent Art (1975): «Èqualcosa da invocare in una selva oscura nel mezzo del cammino della vita».
Ciao, Larry, salutaci il tuo Paradiso.