Il mondo di chi solitamente passa inosservato è la grande miniera della narrativa di Anne Tyler: per lei, una delle più schive tra le scrittrici contemporanee, vale l’assioma secondo cui importante non è la vita, ma che la si possa raccontare.

Così, di romanzo in romanzo, Tyler ha costruito una galleria di personaggi, per lo più di sesso maschile, introversi, insicuri, incapaci di mettersi in relazione con gli altri. Figure appartate, che non attirano l’attenzione e che, anzi, a uno sguardo superficiale, possono apparire del tutto insignificanti: da Macon Leary, l’autore di guide per viaggiatori riluttanti protagonista del suo romanzo più famoso, Turista per caso, a Aaron Woolcott, il vedovo restio a elaborare il lutto di Guida rapida agli addii, ai figli deboli e difficili delle buone famiglie piccolo-borghesi, come il Barnaby Gaitlin di Le storie degli altri, o Ian Bedloe, che un dubbio senso di colpa porta a divenire Quasi un santo nel romanzo omonimo, o Denny, la pecora nera della famiglia Whitshank, in Una spola di filo blu.
Dimostrare come anche la più comune delle esistenze nasconda una storia che vale la pena di essere raccontata è la sfida di ognuno dei ventitré romanzi di Anne Tyler.

Summa e apoteosi di questa mascolinità in crisi e di una banalità esistenziale che si rivela, da ultimo, foriera di sorprese, il protagonista di nome Micah dell’ultimo romanzo, Un ragazzo sulla soglia (traduzione di Laura Pignatti, Guanda, pp. 220, € 17,00) è un uomo «limitato, chiuso in se stesso, senza aspettative o sogni a occhi aperti». Poco più che quarantenne, riparatore di computer e tuttofare del condominio di cui occupa lo scantinato, Micah vive solo, appartato, seguendo una routine «scolpita nella pietra», che prevede una rigida tabella di marcia per le faccende domestiche, l’esercizio fisico e le incombenze del portierato, svolto con metodicità e precisione, e un’attenzione al limite del maniacale per la raccolta differenziata dei rifiuti. Persino la sua relazione con una coetanea maestra elementare è caratterizzata da regole non scritte: «erano stati raggiunti dei compromessi, le incompatibilità erano state accettate, le piccole stranezze venivano ignorate. Si poteva dire che avevano elaborato un metodo».

Affetto da una assoluta incapacità di comprendere le situazioni, e dall’ignoranza patologica di ogni sfumatura della psiche altrui, Micah si lascia sfuggire senza motivo apparente, e comunque senza capirne il perché, le occasioni che potrebbero risollevare la sua monotona esistenza.

Anne Tyler si è detta più volte fedele alla convinzione secondo cui «il personaggio è tutto», e genera la storia dalle sue idiosincrasie, dai suoi sogni, dalle sue abitudini, dalla curiosità che muove in lei: «Non ho mai capito perché dovrei anche aggiungere una trama», ha chiosato. Anche questo suo ultimo romanzo, dunque, è costruito intorno alla lenta – e, a tratti, involontariamente umoristica – presa di coscienza del vuoto che il protagonista contempla nella propria vita. Attorno a lui, come sempre nell’universo di Anne Tyler, si agita tutto un mondo di personaggi ora buffi, un po’ sopra le righe, ora teneri, quasi commoventi, persino «dickensiani» nel loro apparire più reali del reale.

Quello di Anne Tyler è un contesto nel quale ci si può facilmente riconoscere, un everywhere in cui chi legge può identificarsi e identificare luoghi e persone, assolutamente banale se non fosse per l’osservazione acuta, ironica, empatica dell’autrice. Come sempre, ciò che conta in questo romanzo di quasi nulli fatti non è quanto accade ai protagonisti, ma gli echi in chi legge delle loro quasi impercettibili epifanie, echi capaci di mutare in noi, in maniera minima e irreversibile, la percezione della quotidianità.