Di questi tempi non era affatto scontato: secondo i primi rilievi, in Emilia Romagna e Calabria il Movimento 5 Stelle, come ampiamente previsto fuori dai giochi per la corsa alla presidenza della regione, sarebbe di poco al di sotto lo sbarramento per entrare nei consigli regionali.

SE QUELLA SOGLIA dovesse essere superata sarebbe un respiro di sollievo. Comunque vada, il dato politico di fondo descrive la crisi del M5S: un soggetto che sembrava a suo agio soltanto in campagna elettorale e nella competizione con altre forze è diventato refrattario a questi appuntamenti, finendo persino per diventare variabile dipendente ostaggio dei risultati degli altri schieramenti.

Non è un mistero che Luigi Di Maio, se a avesse potuto, avrebbe evitato di concorrere in Calabria ed Emilia Romagna. L’assurdo è che la sua gestione ha infilato il M5S in una situazione loose-loose. I 5 Stelle sapevano bene che se il centrosinistra avesse perso nella sua roccaforte storica, il governo al quale il M5S si appigliava per inseguire un po’ di stabilità e provare a rifondarsi sarebbe stato a rischio.

Ma se, come sembra dai primi dati, Stefano Bonaccini dovesse spuntarla, la minoranza sostanziosa, significativa e mai così spregiudicata che in queste settimane ha esplicitamente invitato al voto disgiunto e spinto verso una maggiore convergenza col centrosinistra troverebbe ulteriori argomenti.

«NON POSSIAMO CAMBIARE i territori da soli così come non siamo andati al governo da soli» ha scritto poche ore prima dell’aperture delle urne il deputato Luigi Gallo, in un intervento poco ortodosso ma insolitamente ospitato dal Blog delle stelle. Il che è segno di che qualcosa nel M5S sta cambiando a prescindere dall’esito delle regionali. Forse era destino che questo mutamento passasse per l’Emilia Romagna, la terra del primo Vaffaday, del primo boom elettorale (erano le regionali di dieci anni fa), dei primo sindaco importante (Federico Pizzarotti a Parma) e delle prime epurazioni.

IN CALABRIA, dove l’esito è meno vincolato agli equilibri politici nazionali, gli imbarazzi non sono minori. Il M5s è riuscito a mettere insieme la prima coalizione della sua storia. Il candidato presidente Francesco Aiello era sostenuto anche da una lista civica, come permette il nuovo regolamento grillino per le elezioni amministrative ma ha collezionato una serie di infortuni che non gli hanno consentito di capitalizzare come alle elezioni politiche di due anni fa (quando prese oltre il 40%) il discredito della politica e di mettersi al traino delle recenti operazioni giudiziarie sulla zona grigia tra ‘ndrangheta, politica e borghesia criminale condotte dal procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri. Le polemiche che hanno investito la stessa composizione delle liste ne sono un esempio, al di là dei veleni che hanno circondato Aiello circa la sua parentela con un personaggio legato alla criminalità: nella circoscrizione nord in cima ai candidati figura Vittorio Bruno, figlio di Paolo, ai tempi della Prima repubblica parlamentare socialdemocratico iscritto alla loggia P2.

SECONDO GLI EXIT POLL Aiello balla intorno all’8%, il dato oltre il quale entrerebbe in consiglio regionale. Considerate le difficoltà e gli scontri interni, sarebbe un risultato non da poco. Destinato però ad aizzare le tensioni invece di placarle: il presidente della commissione antimafia Nicola Morra ha esplicitamente detto che non avrebbe votato Aiello e alcuni grillini calabresi di rilievo gli hanno risposto senza mezzi termini che in questo modo si è posto al di fuori del M5S. A questo punto bisognerà capire chi è destinato a tenere le fila della delegazione del M5S al governo. In ballottaggio per il ruolo ci sono Alfonso Bonafede e Stefano Patuanelli: il primo vicino a Di Maio e quindi meno propenso a stringere relazioni maggiori col centrosinistra, il secondo più a suo agio nella cornice della maggioranza.

Il nodo dovrebbe essere sciolto domani, in una riunione di ministri e sottosegretari grillini. Qualche ora dopo, in serata, Vito Crimi parteciperà all’assemblea congiunta dei parlamentari. L’incontro avviene dopo che il reggente ha scritto agli eletti per sollecitarli a produrre idee e proposte per il funzionamento degli Stati generali di metà marzo a Torino. L’impressione diffusa è che si naviga a vista.