Lo scorso 24 febbraio Putin all’improvviso ha invaso anche l’Ucraina, un atto terribile, criminale e ingiustificabile. La condanna è stata quasi unanime in tutto il mondo. Ogni tentativo di determinare con la violenza un nuovo equilibrio è inaccettabile. Egli nel corso degli ultimi vent’anni (come Hitler in Germania, anche se in forme diverse) ha fondato il consenso e il potere sulla riscossa della patria. Via via l’ha trasformata nel collante di uno stato illiberale, poliziesco, arbitrario nella gestione del diritto. (…)

SE SI INTENDE con la potenza di fuoco determinare uno squilibrio, è del tutto legittimo che l’aggredito si difenda in tutti i modi possibili. Così sta accadendo; anche sulla base di un consenso democratico e popolare che pochi immaginavano così intenso e premessa di molte vittorie che sul campo l’esercito ucraino sta strappando all’avversario più potente. Non ho mai avuto un dubbio sull’invio da parte anche dell’Europa di armi a sostegno di Kiev. Nel mezzo di uno squilibrio imposto con la guerra, occorre aiutare chi lo subisce a ristabilire l’equilibrio. Senza la resistenza, l’Ucraina non avrebbe avuto neppure la possibilità di sedere a un possibile tavolo di pace (…).
Ma mentre si combatte per il riequilibrio, è decisivo avere in mente quale debba essere l’esito al quale si intende giungere. La sconfitta definitiva dell’avversario? Improbabile che ciò accada. Messa con le spalle al muro, la Russia potrebbe, in forme diverse, mettere mano ai suoi ordigni nucleari. A quel punto gli scenari sarebbero devastanti e incontrollabili. Altro che atomiche tattiche. L’atomica è l’atomica.
Se non siamo in grado di fermare il conflitto oggi, di fronte a un’aspra contesa tra eserciti convenzionali, come si può pensare che il tentativo di stroncare l’avversario con armi eccezionali non sia immediatamente contrastato con armi altrettanto eccezionali? Ecco il motivo per il quale, combattendo, si deve tenere aperta continuamente la prospettiva della pace. Mettendo in campo tutto il dialogo possibile.

LE PERSONALITÀ e le nazioni che hanno una posizione terza. Il magistero così allarmato di papa Francesco. Non si tratta neanche per un momento di giustificare Putin. Piuttosto di capire se nei trent’anni di storia russa dopo il crollo sovietico si siano commessi anche degli errori da parte dell’Occidente. L’amministrazione americana con Bush padre aveva assicurato a Gorbacëv che la Nato non sarebbe avanzata nei paesi dell’Est comunista e verso i confini della Russia. Forse fu solo una stretta di mano o un accordo verbale (come dichiarato da Putin). La Nato, al contrario, non è stata ferma. Gradualmente, passo dopo passo, ha occupato tutta l’Europa orientale.
Non è la sede per approfondire la natura della Nato, né per analizzare gli allarmi che nel corso del tempo sono stati lanciati dalla Russia. Basta dire che tutto ciò è apparso una minaccia per Mosca: un crescendo avventuroso e destabilizzante (…).
L’Europa cosa ha fatto? Anche riguardo al destino delle comunità russe rimaste nei vari Paesi dell’ex Urss. Esse sono state dimenticate, in molti casi maltrattate. In Lettonia, ad esempio, dove la popolazione è per circa un quarto russa (il 28% della quale, più di 150mila persone, costituita da «non cittadini» e quindi priva di diritto di voto e di alcuni diritti sociali). Non mi riferisco al modello sociale o costituzionale che ogni Stato coinvolto, autonomamente, intende adottare; piuttosto a un assetto militare fondato su reciproche garanzie. Tra le quali era e va valutata la «neutralità» dei Paesi confinanti e cuscinetto (…).

OGGI, IN UN MONDO multipolare nel quale si sono affermati grandi Stati-continente, è una cecità pensare di raggruppare tutto l’Occidente (al suo interno così diverso) contro il resto del mondo (anch’esso al suo interno diverso). Ma questo si sta rischiando di determinare. Una grande responsabilità la porta sulle spalle l’Europa. La sua rinuncia a svolgere un ruolo autonomo, di dialogo, di deterrenza, di impegno adeguato alla trattativa e alla pace. In questi ultimi mesi l’Europa si è identificata con gli Stati Uniti d’America e la Nato. In modo del tutto innaturale rispetto a quello che dovrebbe, al contrario, rappresentare: un ponte tra mondi diversi; il crocevia delle molteplici, contraddittorie e autonome spinte che giungono da tanti popoli in movimento. L’Europa del Novecento ha toccato i fondali più profondi della guerra. Via via, in seguito, è diventata un esempio di convivenza democratica, di apertura alle diversità, di modello sociale avanzato ed emancipativo.

È IL TERRITORIO sul quale inevitabilmente si propiziano al meglio i rapporti tra l’Occidente e l’Oriente. A Bruxelles si è, invece, preferito l’atlantismo ideologico piuttosto che il lavoro necessario per la fine della guerra. Le sanzioni sono giuste e hanno svolto un ruolo. Ma, come l’invio delle armi, pretendono un doppio binario. Mentre punisci, devi capire la scaturigine degli avvenimenti; in tal modo si possono rendere ragionevoli ed equilibrati i possibili esiti. Si deve combattere bene e allo stesso tempo ragionare.
Occorre armare l’Ucraina e disarmare l’ideologia unipolare. Siamo a un punto della guerra nel quale l’equilibrio è massivamente fragile. La Russia perde colpi ed è una vittoria del popolo ucraino, ma è difficile pensare che ci sarà una capitolazione della Russia. Anzi potrà aumentare la possibilità di una risposta ancora più rabbiosa e distruttiva. Grazie alla controffensiva di Kiev, si sta determinando il momento migliore per trattare una pace fondata sull’equilibrio possibile. Non è una scelta. È una necessità e anche un obbligo. (…) Di fronte al persistere della minaccia nucleare in mano non solo al duopolio Usa-Russia, ma a numerosi Paesi che devono insieme contribuire alla sopravvivenza della nostra specie.
Il generale e filosofo Sun Tzu insegna: «Il bravo stratega rifugge qualunque scontro non inevitabile, e se proprio deve combattere, non combatte un minuto più dello stretto necessario».