Nel corso degli ultimi due anni, tra il maggio del 2019 e quello del 2021 il drammaturgo, narratore e saggista Stefano Massini ha riflettuto sull’attualità dando poi settimanalmente alle stampe sul Robinson di Repubblica – un articolo nel quale cercava di cogliere e analizzare qualche aspetto della nostra quotidianità. Ora ha raccolto e ampliato – aggiungendovi numerosi contributi inediti – i pensieri elaborati in quel periodo in Manuale di sopravvivenza. Messaggi in bottiglia di inizio millennio (il Mulino, pp. 246, euro 14): una sorta di diario le cui pagine appaiono prima ispirate dalle tante inquietudini e contraddizioni che segnano la nostra esistenza e, successivamente, sollecitate dalla sempre più grave e angosciante situazione pandemica.

UNA VERA E PROPRIA esplosione virale che ha sconvolto, quasi di colpo, il nostro presente costringendoci, tra l’altro, ad accettare alcune drastiche limitazioni delle libertà personali, a scoprire il significato letterale e profondo del verbo sopravvivere, a riconsiderare il concetto stesso di futuro. Massini esamina gli ostacoli che dobbiamo superare ogni giorno; descrive inoltre un’umanità priva di amici ma con tanti «follower», disposta a tollerare i cambiamenti climatici, ad appropriarsi di nuovi calendari e riti, ad accettare realtà come il sovraffollamento delle carceri e la diffusa violazione dei diritti umani, a non porsi tante domande su Erdogan o «zar Putin». Una comunità alla quale il Covid ha ricordato – in modo persino brutale – quanto la nostra vita sia fondata su un equilibrio fragile e provvisorio.

Occorre poi aggiungere come il virus abbia fatto prepotentemente irruzione nella sfera emotiva di ognuno: simile a un fiume in piena che travolge tutto e tutti, ha assediato il singolo individuo, lo ha posto in una condizione di isolamento forzato e spesso – a seguito del contagio – reso preda della cosiddetta nebbia cognitiva, uno stato che ne riduce notevolmente la capacità di connettere e riflettere. Finito anch’egli nella rete del virus, scrive al riguardo l’autore: «Ho perso odori, sapori, non distinguo più i cibi». Per osservare, qualche riga più avanti: «Sono questi sintomi, più della febbre, più dei dolori, a rendermi l’esperienza squassante: qualcosa sta attentando al senso profondo di me, alla percezione della realtà, allo sguardo sulle cose e alla reazione che comporta».

FONDAMENTALE resta la sua sensibilità nei confronti del linguaggio: egli ne nota con perspicacia i mutamenti, l’ormai avvenuta plastificazione, i termini di recentissimo conio, il diverso significato attribuito ad alcune parole certo non nuove, la spiccata tendenza a comunicare attraverso il continuo ricorso ai messaggini, il progressivo impoverimento del lessico.

UNA SENSIBILITÀ che contribuisce, senza alcun dubbio, a innalzare la qualità della sua scrittura. Grazie a una prosa che si caratterizza per l’asciuttezza, l’incisività, il ritmo, l’accorto impiego dei vari registri espressivi, il misurato utilizzo degli aggettivi e degli avverbi, i tanti articoli presenti nel volume costituiscono una lettura avvincente.

Va inoltre messo in rilievo come Massini concentri il proprio interesse su un paese che si rivela inizialmente attonito, poi sconcertato, reso infine sempre più ansimante dal lungo tunnel che è stato costretto a percorrere. E, in conclusione, sembra opportuno sottolineare come egli sia riuscito a realizzare un’indagine pregevole, attenta sia ai vasti orizzonti che ai particolari minuti, tanto alle paure quanto agli umori, felicemente in bilico tra letteratura e storia, filosofia ed etica, antropologia e politica internazionale, sociologia e psicologia: una disamina, nel complesso, assai acuta che ha il merito di fornirci numerosi spunti di riflessione.