Maigret. Così, semplicemente, senza neppure il titolo del romanzo da cui è tratto, Maigret e la giovane morta, pubblicato nel 1954. Perché questa era l’intenzione di Patrice Leconte e di Jérome Tonnerre che l’hanno sceneggiato, puntare tutto sul commissario farlo uscire dagli stereotipi in cui è rimasto imbrigliato per tanti anni. Anche perché, mentre in televisione sotto diversi cieli Maigret ha continuato a vivere le sue indagini, sempre con pipa appiccicata alla bocca, al cinema erano decenni che non arrivava più. Forse anche perché il personaggio, ormai quasi centenario, aveva già avuto millanta trasposizioni, molto spesso incentrate più sull’istrionismo e sul carisma dell’interprete protagonista che non sulla figura del commissario. Tra quelli che più hanno dominato il nostro immaginario c’è sicuramente Jean Gabin, stropicciato e, pur riconoscendone fascino e talento, poco apprezzato da Simenon che lo vedeva lontano dalla creatura che lui aveva immaginato. Altra interpretazione storica quella di Gino Cervi, che dopo la fortuna televisiva approdò anche su grande schermo con la centrata rilettura provinciale sua e di Mario Landi. Anche Leconte aveva già incontrato Simenon con L’insolito caso di Mr. Hire, del 1989, ma senza Maigret. Ora, forse proprio per il pluriennale silenzio e la ritrovata libertà nel poterlo rappresentare Leconte affronta il commissario con un piglio per certi versi più discosto dal personaggio ma per altri intrinsecamente più aderente alla costruzione originale dei romanzi e alla figura del suo protagonista.

Depardieu è un grande, grandissimo interprete, si immerge nelle atmosfere del racconto, non cerca di sovrapporsi e si propone quasi in sottrazione

NON RIVELIAMO nulla dicendo che la pipa c’è ancora, ma non è più quel momento diventato iconico luogo comune, ora Maigret ha dei problemi di salute e quindi il medico lo invita a lasciare perdere il fumo, non però l’oggetto pipa che viene usato proprio come oggetto e non per la sua funzione. La storia è tutta centrata sull’indagine che riguarda una giovane trovata morta, in elegante abito da sera e senza alcun documento. Da lì parte il commissario per cercare di scoprire prima chi sia, poi cosa sia successo e infine trovare chi sia stato.

NEL CORSO dell’inchiesta scopriamo non solo la dissolutezza cinica di una classe dirigente che si ritiene intoccabile e al di sopra di qualsiasi sospetto, ma emerge anche l’empatia del commissario nei confronti della giovane morta che rievoca in lui la perdita della giovane figlia, a sottolineare indirettamente il forte legame con la moglie (Anne Loiret in questo caso). E qui entra in gioco lui, il gigantesco protagonista del film: Gérard Depardieu. Una volta tanto non si parla di lui per le cronache, ma per il suo vero lavoro, quello di attore. E Depardieu è un grande, grandissimo interprete, perché, anche grazie a Leconte, si immerge nelle atmosfere del racconto, non cerca di sovrapporsi, di giocarsela da personaggio, si propone quasi in sottrazione con toni smorzati lasciando che siano le situazioni a catturare lo spettatore, compresi momenti in cui realtà e fiction si sfiorano con battute strazianti da interpretare per un uomo che ha realmente perso un figlio. E nonostante siamo negli anni ’50, non c’è l’ossessione per la ricostruzione d’epoca, sono altri gli elementi che sopravvivono e che rendono seducente questa rilettura per il grande schermo di un Maigret crepuscolare.