Dopo aver debuttato al Getty Research Institute di Los Angeles e aver itinerato alla Kunsthalle di Berna e alla Kunsthalle di Düsseldorf, la mostra Harald Szeemann: Museum of Obsessions / museo delle ossessioni, curata da Glenn Phillips e Philipp Kaiser con la collaborazione di Doris Chon e Pietro Rigolo, arriva al Castello di Rivoli (visitabile fino al 26 maggio), dove tra incalcolabili oggetti, scritti e video d’epoca si tenta l’impresa di ricucire quella che è stata l’unica grande personalità contemporanea dell’art system.

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Harald Szeemann (Berna, 1933 -Tegna, Svizzera, 2005) è stato un curatore anomalo, solitario e battitore libero, profondamente diverso, per sentimento e comportamento, dal system curator attuale (istituzionalizzato negli schemi frenetici del consumo veloce dell’arte). Harald era, invece, indirizzato verso una dimensione più anarchica, riflesso della cultura libertaria in cui era cresciuto e con cui, probabilmente con fatica, riusciva a trovare quelle «aperture» che la pressione del sistema dell’arte prosciuga e nega.
La mostra torinese traccia la sua visionarietà, le sue folgorazioni, i suoi affetti e la sua portata intellettuale, ed è, didatticamente, uno step essenziale nell’epoca in cui la curatela è divenuta un mestiere strutturato e un’aspirazione di potere, addomesticata dagli innumerevoli – e spesso inadeguati – master e corsi curatoriali che si inerpicano su strategie relazionali e di garanzia al sistema, senza nessuno spleen. Szeemann è andato oltre tutto questo e, anzi, ne ha sempre combattuto le criticità, schierandosi a difesa della propria indipendenza intellettiva, delle proprie ideologie e passioni. Un emblema.

L’agenzia indipendente
Filigranare i suoi sconfinati interessi culturali attraverso le sue mostre dimostra quanto quell’attenzione per il mondo, nella sua interezza, designasse una personalità complessa, emancipata, curiosa e fiammeggiante. In virtù di tale caratteristica, ci ha lasciato delle gemme espositive e avanguardistiche come la mitica Live in Your Head: When Attitudes Become Form (1969) realizzata alla Kunsthalle di Berna, in cui liberava il suo viscerale anticonformismo attraverso la fusione di tutte quelle variegate tendenze dell’anti-form (arte povera, azionismo, performances) che erano emerse nel periodo. Esposizione dunque sulle «attitudes» degli artisti, sullo spontaneo processo della forma e dell’azione in progress e sullo svuotamento di quello che Robert Morris aveva definito il «triangolo d’acciaio» (museo-galleria-media).

Nonostante il successo di un’esposizione così radicale e anomala, Harald, insofferente alle costrizioni mercato-opera d’arte, si dimetteva dalla Kunsthalle di Berna per fondare un’agenzia indipendente, l’Agentur für geistige Gastarbeit (Agenzia per il lavoro spirituale all’estero) con il fine di «sostituire la proprietà con l’azione libera», emancipandosi così dalle pastoie istituzionali ufficiali. Lo spostamento concettuale di Live in Your Head: When Attitudes Become Form fu tale che, inaspettatamente, gli fu affidata l’edizione di documenta 5 del 1972 e, quindi, la stessa kermesse venne dirottata dalle sue precostituite caratteristiche museali verso un territorio inusitato. Szeemann radicalizzò il tradizionale programma di documenta coinvolgendo più di duecento artisti in cento giorni consecutivi di spettacoli ed eventi che si svolsero nell’estate e nell’autunno del 1972.

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La rassegna, intitolata Befragung der Realität – Bildwelten heute (Interrogare la realtà – le immagini del mondo di oggi) coniugava le affinità che legavano l’arte concettuale alla performance, dalla Pop art alla propaganda politica, dalle utopie architettoniche alla fantascienza e all’arte dei malati mentali. L’interezza e la rizomaticità del suo mondo trovava terreno in un contesto finora conservatore e ripetitivo. Di queste importanti tappe l’esposizione torinese ne mostra i documenti d’archivio, le foto, i cataloghi disegnati dallo stesso Harald, i suoi timbri (altra ossessione szeemaniana) e vengono contestualizzati nelle sale dove sono allocate alcune opere di autori dell’Arte Povera, inclusi nei progetti del curatore svizzero.
Tutte le ossessive spire del suo pensiero poliedrico e sinestetico vengono mostrate, fino all’incredibile bailamme scultoreo realizzato con i ticket di volo che Szeemann conservava certosinamente, e chi lo conosceva sa quanto vivesse in continua peregrinazione di continenti e di luoghi inusitati, con quel suo senso di meraviglia per la conoscenza.

Fusioni estetiche
Dopo l’edizione di documenta, Harald si spostò in Canton Ticino, per costruire un’ambiziosa trilogia: Junggesellenmaschinen / Les machines célibataires (Le macchine celibi) del 1975, composta da Monte Verità / Berg der Wahrheit: Le mammelle della verità / Die Brüste der Wahrheit, 1978, e Der Hang zum Gesamtkunstwerk: Europäische Utopien seit 1800 (Tendenza verso l’opera d’arte totale: utopie europee dal 1800 circa), 1983, che reinterpretavano il concetto di modernità. Questa trilogia di mostre è considerata come un tentativo di radicalizzare le avanguardie dell’inizio del XX secolo e, soprattutto, di indagare la fusione estetica tra macchina e arte. La rassegna, ispirata al libro omonimo di Michel Carrouges del 1954 che per primo propose associazioni tra l’opera di Duchamp La Mariée mise à nu par ses célibataires, même e le macchine, vagheggiate dagli scrittori Alfred Jarry, Franz Kafka e Raymond Roussel, presentava sezioni dedicate al Giainismo, alla mitologia greca, all’antropomorfismo, ai robot e agli androidi, alla femme fatale e alle macchine artistiche ed erotiche. È solo uno stralcio dell’immenso archivio szeemaniano che si visita a Rivoli al cui interno c’è anche una sezione dedicata alla comunità utopica del Monte Verità nel Canton Ticino, insediata fin dal 1870 quando l’anarchico Mikhail Bakunin visse nella regione, e da quando alcuni seguaci della teosofia e di Annie Besant vi si stabilirono e ne connotarono la natura utopica e trasformista con esperimenti sociali. Fu qui che Szeemann trascorse gli ultimi trent’anni e a questa fonte le sue idee visionarie si rafforzarono.

Il nonno coiffeur
L’ultimo slancio szeemaniano ripercorribile è Grossvater: Ein Pionier wie wir (Nonno: un pioniere come noi) la piccola mostra, originariamente presentata nel 1974 nel proprio appartamento sopra il Café du Commerce in Gerechtigkeitsgasse 74 a Berna. È una liaison fondamentale per capire lo spirito ribelle e utopista del curatore svizzero, fuori da ogni preordinata strategia ma pregna di intuizioni, presagi, ossessioni, manie, azzardi. Non sorprende vedere la mostra dedicata al nonno ungherese Étienne Szeemann, famoso coiffeur al servizio delle famiglie reali che aveva inventato un congegno per le onde della permanente.
Nella sezione a essa dedicata, ci sono oltre milleduecento oggetti d’affezione appartenenti al nonno, del quale il nipote ne amava l’atteggiamento pioneristico. Con quel suo piglio surrealista Szeemann giustapponeva oggetti intimi di famiglia che elencavano la biografia dell’avo, le migrazioni dei popoli in Europa, le guerre del XX secolo e lo sviluppo dell’acconciatura come modernismo parallelo a quello artistico oltre ad azzardare la sua assenza curatoriale all’interno di una mostra esplorativamente e psicoanaliticamente privata.
L’incommensurabile archivio di Maggia (in Svizzera), lasciato da Harald Szeemann alla sua morte (una straripante montagna di libri, cataloghi, oggetti, manifesti, inviti, progetti, opere d’arte, fotografie, lettere, articoli, interviste, saggi, corrispondenze e documenti, sparsi in 3000 mq di abitazione distribuiti in otto stanze, tutti suddivisi in sezioni e sottosezioni secondo i suoi criteri), è stato acquisito e conservato dal Getty Research Institute di Los Angeles dal 2011. L’esposizione Harald Szeemann: Museum of Obsessions / museo delle ossessioni ne presenta uno stralcio melanconico e illuminante. Un frammento della mente luminosa del più grande curatore indipendente.