Sembrerà paradossale ma quello che è senz’altro il maggior conoscitore dell’opera di Pier Paolo Pasolini (e uno dei suoi critici più rilevanti), Walter Siti, non aveva mai raccolto i suoi contributi come ora in Quindici riprese. Cinquant’anni di studi su Pasolini (Rizzoli, «La Scala», pp. 413, euro 20).
Il volume seleziona e riunisce saggi per lo più accademici e introduzioni editoriali mentre i testi datano fra il 1980 e il 2022, quando esce la nuova accuratissima edizione di Petrolio (Garzanti, «I Libri della Spiga», pp. 811, euro 28.00) approntata da Siti stesso con Maria Careri. Il nucleo di Quindici riprese (titolo per così dire anfibologico, che rinvia a una dinamica di troppo lunga coabitazione e perciò di amore-odio) è costituito dalle introduzioni ai singoli volumi dell’opera pasoliniana, stesi fra il ’98 e il 2015, nella collana dei «Meridiani» Mondadori curati insieme con una eccellente filologa quale Silvia De Laude.

PER PARTE SUA, Siti è portato a leggere il costitutivo sperimentalismo di Pasolini come pullulante produzione di testi per lo più frammentari (il suo plurilinguismo) in vista di un Macro-testo la cui linfa poetica è di natura, come la chiama, «trans-generica» (il suo plurilistilismo). Lo skandalon, alla lettera la pietra di inciampo, è costituito dalla decisione dell’autore di voler gettare il proprio corpo nella lotta (il che vuol dire nella pagina) e di procedere costantemente, scrive Siti, «era vita e vocabolario» nella persuasione «che la letteratura come conoscenza sia inscindibile dalla letteratura come atto vitale».

UN COINVOLGIMENTO che agli occhi del critico mette a rischio la vita dello scrittore nello stesso momento in cui decide per il protagonista del romanzo terminale di ispirarsi alla figura di Eugenio Cefis, il dirigente dell’Eni che più d’uno ha ritenuto responsabile dell’«incidente» dove perse la vita Enrico Mattei: nella presente postfazione a Petrolio, senza entrare nella annosa questione delle pagine scomparse o meno (sottratte o meno dal dattiloscritto) il cui teste esclusivo, giova ribadirlo, fu Marcello Dell’Utri, Siti avanza la tesi secondo cui l’assassinio del poeta fu un gesto di violenta ritorsione politica che mirava a spegnere la voce di un intellettuale la cui fama, alla pubblicazione del romanzo, avrebbe travolto i vertici dell’Eni e screditato figure eminenti delle istituzioni.