Bruciano i boschi, bruciano i parchi naturali. Si accende il dibattito sull’innalzamento della temperatura globale, sulla gestione della lotta agli incendi, sulla natura dolosa di gran parte di essi. Si rinfocola anche la polemica sull’ “assorbimento” del Corpo forestale dello Stato nell’Arma dei carabinieri che ha comportato la soppressione di una struttura di consolidata esperienza e di particolare efficacia proprio sul fronte del fuoco. Non si considera però che questa soppressione, oltre ad avere creato fortissimi disagi nel personale testimoniati dalle centinaia di ricorsi ai Tar, è il frutto di un provvedimento costituzionalmente illegittimo.

«Il personale del Corpo forestale dello Stato transitato nell’Arma dei carabinieri assume lo stato giuridico di militare»: così l’art. 14 del decreto 717 del 2016, della legge Madia sulla riforma della pubblica amministrazione, ha modificato coattivamente lo status dei forestali (da non confondere con gli “operai forestali regionali”), ivi compresi i tecnici non in divisa e non armati: da cittadini soggetti all’ordinamento civile e perciò ai tribunali ordinari sono diventati cittadini soggetti all’ordinamento militare e perciò ai tribunali militari. Con una profonda compressione dei loro diritti costituzionali: hanno perso, non per loro scelta, il diritto di associarsi liberamente (art. 18), i pieni diritti sindacali (art. 39), il diritto di sciopero (art. 40); inoltre per il personale femminile (circa un quinto del totale) è sorto il problema del contrasto con il principio secondo cui le donne possono svolgere il servizio militare esclusivamente su base volontaria (legge 380 del 1999) e perciò con il principio di eguaglianza (art. 3).

Tra i delicati problemi istituzionali c’è la cessazione della dipendenza funzionale (non gerarchica) dall’Ente parco nazionale dei forestali addetti alla sorveglianza. Il decreto stabilisce infatti che il ministro dell’ambiente – il quale, ignaro, aveva salutato con particolare enfasi la sua approvazione – può solo “avvalersi” di un apposito Comando dell’Arma per le funzioni a lui riconducibili tra cui, appunto, la sorveglianza dei parchi nazionali, che pertanto è oramai interamente nelle mani dei carabinieri, a conferma del disimpegno del governo per l’ambiente, la natura, le aree protette. L’inerzia ministeriale appare ancora più evidente se si considera invece che, per le materie afferenti alla sicurezza e alla tutela agroalimentare e forestale, il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali ha ottenuto che quel Comando dipenda funzionalmente da lui.

Gravissimo il silenzio da parte di chi avrebbe dovuto difendere il Cfs, la sua storia lunga due secoli. Non una parola dal ministro delle politiche agricole da cui dipendeva il Corpo, da quello dell’ambiente, soprattutto dal capo del Corpo dimostrando così la sua inadeguatezza al ruolo.

Un silenzio che va interrotto anche perché è il territorio italiano a farne le spese.