Il 2019 è già ricco di novità per il Parco Archeologico del Colosseo. Mentre prosegue la mostra Roma Universalis dedicata agli imperatori venuti dall’Africa, è stato inaugurato un percorso dal titolo Grand Tour nel Parco, che permetterà al visitatore di confrontare la vista attuale con il panorama ammirato dai viaggiatori tra XVI e XIX secolo: il Colosseo, l’Arco di Tito, la valle del Foro – a quell’epoca nota come Campo Vaccino, vengono presentati attraverso le opere di pittori quali van Wittel, Canaletto, Piranesi, Turner e Corot.

Ma la magnificenza delle rovine romane che ispirò questi e molti altri artisti sarà presto offuscata da un «corpo estraneo». Si tratta del nuovo Centro servizi previsto nei pressi dell’Arco di Costantino tra via Celio Vibenna e via di San Gregorio. La struttura, costituita da un nucleo centrale di 30 metri di diametro sovrastato da una cupola, avrà una superficie di oltre 1700 metri quadri distribuiti tra punto informazioni, biglietteria e bookshop (caffetteria e servizi igienici, invece, verranno collegati tramite due blocchi parzialmente autonomi). Gli accessi saranno tre, due rivolti in direzione del Colosseo e uno verso l’Arco di Costantino.

La gara d’appalto per la realizzazione dell’edificio è gestita da Invitalia, l’Agenzia Nazionale per lo Sviluppo che agisce in qualità di Centrale di Committenza per il Ministero per i Beni e le attività Culturali – Parco Archeologico del Colosseo, e consta di un investimento di 231 mila euro.

Il progetto rientra in un vasto piano di conservazione e valorizzazione del Colosseo, finanziato dal Gruppo Tod’s, che include inoltre il restauro degli ambulacri e dei sotterranei dell’anfiteatro. In attesa di conoscere l’ente aggiudicatore – il bando si è chiuso lo scorso dicembre – una riflessione è d’obbligo. Se da una parte la fruibilità del monumento simbolo della capitale trarrebbe vantaggio dalla dislocazione dei servizi, dall’altra è inaccettabile che un’area archeologica unica al mondo per il continuum di monumenti grandiosi venga intaccata da costruzioni invasive.

Invitalia assicura che l’assetto attuale non verrà modificato e che la ricopertura con manto erboso e la ripiantumazione degli alberi coinvolti nelle operazioni di cantiere ridurranno al minimo l’impatto ambientale. Ma i danni creati in passato nella stessa zona per lo scavo del tunnel della metro B e più recentemente per i lavori della linea C, fanno emergere criticità importanti, forse le stesse per cui il progetto si era inizialmente arenato, entrando anche nel mirino della Corte dei Conti nel 2016.

Insomma, ancora una volta i beni culturali vengono assoggettati a strategie politiche ed economiche che presentandosi sotto l’aura di una presunta valorizzazione, di fatto decretano lo svilimento del patrimonio. Una colata di cemento, tuttavia, non riuscirà a nascondere l’onta dell’ennesima violenza al paesaggio perpetrata dai nuovi distruttori. C’è da augurarsi che le ruspe incontrino la resistenza del marmo e che le vestigia sepolte nella valle del Colosseo riaffiorino tra le benne, rivendicando il possesso esclusivo dell’orizzonte di Roma.