]È l’inizio della fine dell’esitante parabola del sindaco Marino? Dall’intensità con cui da più parti si allude a una conclusione del ciclo amministrativo del centrosinistra romano, sembrerebbe più di un’ipotesi. E non tanto per le dimissioni di Daniela Morgante, assessora a uno dei bilanci più disastrati al mondo – quando c’era Alemanno, di assessori al bilancio se ne sono avvicendati una mezza dozzina. Ma perché l’atmosfera di sfiducia e delusione che aleggia in città appare ormai del tutto insostenibile, sia per chi Marino l’ha sostenuto e votato, sia, ovviamente, per chi ne ha sempre evidenziato i limiti. E già sui muri di Roma appaiono scritte tipo “Aridatece Alemanno”.

Così, mentre infuriano le battute di caccia contro gli occupanti di case, tra bastonate, sgomberi, arresti e incriminazioni, il Campidoglio sembra involversi in un cicaleccio vano. Del resto, se chi dovrebbe governare la città si avvita intorno alla propria inadeguatezza, è inevitabile che altri, più sbrigativi e maneschi, si sentano autorizzati a intervenire. Come spiegarsi il ripetersi di iniziative poliziesche, sempre più violente, senza che il sindaco ne venga quantomeno informato? E senza che quest’ultimo si faccia sentire con qualcosa di più di un comunicato-stampa?

Che Ignazio Marino fosse largamente ignaro di cosa l’aspettasse, era alquanto assodato; e lui stesso, candidamente, l’ammise solo qualche settimana dopo la sua elezione. Ma ciò che appare sconcertante è che dopo un anno di rodaggio sia ancora lì a immaginare di gestire la città con il suo piglio solipsista, tra pacchi di curricula, contornato da alfieri, scudieri e portabandiera, senza voler ascoltare né i corpi sociali, né i tessuti intelligenti, né le realtà conflittive. In un frangente politico spinoso, con una crisi economica che genera bisogni sempre più corposi, mentre le misure restrittive riducono sensibilmente l’offerta sociale.

Sarebbe facile tornare sulle frettolose decisioni che un anno fa portarono il centrosinistra romano a investire su questa candidatura. Così come, d’altra parte, apparirebbe stucchevole ricordare le ragioni dei pochi che la ritennero improvvida e ingannevole. Sta di fatto che i veti e le ripicche di allora hanno finito per produrre l’attuale ristagno, tanto disagevole quanto imbarazzante. Al punto da spingere proprio i maggiori sostenitori di quella scelta a ipotizzare una plausibile via d’uscita, la meno dolorosa possibile. Dopo la quale (è bene chiarirlo subito) sarà difficile riproporre gli stessi schieramenti originari, poiché si finirà per imboccare la strada larga di intese ancora più larghe.Siamo di fronte a un capolavoro politico: a Roma si riuscirà a trasformare una malintesa soluzione di sinistra in un mediocre precipitato di destra.

Il sostanziale commissariamento del bilancio capitolino imporrà un ferocissimo piano di rientro, ammesso che l’ormai noto decreto “Salvaroma” venga definitivamente approvato. Ciò comporterà ulteriori tagli nella spesa pubblica, nuovi incrementi fiscali e tariffari e svendite generalizzate del patrimonio comunale: senza tuttavia generare alcun beneficio. I servizi sociali ridurranno ancor più la loro offerta, la manutenzione si diraderà ulteriormente. Chi avrà bisogno di sostegni o assistenza dovrà arrangiarsi, e con i crolli e le frane dovremmo abituarci. Nessun investimento significativo né nuovi progetti produttivi, e di prospettive di rilancio culturale neanche a parlarne.

La speranza di veder rifiorire Roma dopo l’angusta stagione della destra, si sta trasformando in una prospettiva angosciante. E nessun sindaco, l’attuale come l’eventuale successore, potrà mai ridare respiro e benessere alla città, se non spezzando qui vincoli finanziari che imprigionano il bilancio comunale, a Roma come dappertutto. E quanto al debito, ebbene le banche dovranno farsene una ragione: è impossibile, a Roma come dappertutto, rientrare nel cosiddetto dovuto. Resta più importante riparare il tetto di un scuola o aiutare un anziano fragile o assistere un bambino disabile, piuttosto che pagare all’infinito interessi bancari sempre più voraci.