Il capitolo 5 del «Contratto» Lega-5 Stelle parla dell’annosissimo tema del conflitto di interessi. Ma chi si aspettava un testo duro e puro rimarrà assai deluso. Infatti, le formulazioni sono piuttosto generiche e non così diverse da quelle che usava l’allora ministro Frattini prima di dar vita alla legge con il suo nome e che non a caso non fece paura a nessuno. Quindi, va chiarito che con simili premesse Berlusconi può dormire sonni tranquilli. Al solito.

Del resto, il conflitto di interessi è materia maledetta, su cui ha perso la faccia – com’è noto – il centrosinistra. E i nuovi governanti in pectore si apprestano a fare il bis. Se non si rimette mano con rigore alla legge del 1957 sui casi di ineleggibilità (dove dovrebbero rientrare i proprietari televisivi), il caso dell’ex Cavaliere continuerà ad essere un caso: tutto italiano, inimmaginabile ad esempio negli Stati Uniti. Inoltre, nello scarno capitolo non c’è cenno al blind trust, ovvero al fondo cieco dove andrebbero depositate le azioni di chi ha ruoli pubblici. È bene ricordare che, al netto delle brutte mediazioni e dei compromessi, l’allora centrosinistra al governo non riuscì a confezionare una normativa decente proprio su questo punto.

Dopo l’approvazione in prima lettura alla Camera dei deputati nel 1998 di un articolato che si rivelò debole e insufficiente, al Senato il dispositivo venne rafforzato proprio sul blind trust. E per questo venne bloccato. Ostruzionismo e insipienza formarono una miscela terribile. Vent’anni dopo siamo ancora fermi lì. Il «terribile diritto di proprietà», per rievocare Stefano Rodotà, va preso di petto. Se no ci si ferma a pure evocazioni di principio.

Veniamo, invece, ai due punti importanti toccati. L’uno riguarda il perimetro dei soggetti da vigilare: non solo il governo, bensì anche i parlamentari, i sindaci delle grandi città e i dirigenti delle società partecipate dallo Stato.

L’altro tocca i conflitti  che vanno oltre il tornaconto economico e configurano l’interesse privato negli atti di ufficio che tornerebbe così pienamente in scena come reato. Si pone, pure, con fondatezza, il problema dell’incongruenza tra questioni tanto delicate e la fonte decisionale ( le Giunte per il regolamento) soggetta ai voleri delle maggioranze parlamentari. La terzietà è indispensabile. Andrebbe configurato un luogo dedicato autonomo e indipendente.

Ora ha qualche potere l’Autorità antitrust, quello attribuito in modo residuale dalla legge in vigore.

A proposito di leggi, sarebbe doveroso raggruppate in un Testo unico le numerose disposizioni in materia disperse qua e là, con stratificazioni successive che hanno spesso aumentato la confusione. Insomma, il capitoletto è proprio piccolo, in tutti i sensi.

Posta & risposta

il conflitto di interessi è materia maledetta, su cui ha perso la faccia – com’è noto – il centrosinistra Vincenzo Vita era deputato quando il centrosinistra evitò di fare la legge sul conflitto di interessi. La faccia l’ha persa anche lui quindi se ne assuma la colpa. Faccia i nomi di chi decise di non fare la legge, perché LUI LO SA. Fino a quel momento, gli articoli di Vita sul conflitti di interessi sono pura ipocrisia.

Davide Pao (commento qui sotto)

La replica di Vincenzo Vita sul manifesto in edicola il 19 maggio 2018

La storia della legge sul conflitto di interessi nell’epoca del centrosinistra al governo (1996/ 2001) è questa: il testo che passò alla Camera dei deputati risultò debole.

Al Senato il lavoro di Stefano Passigli, Cesare Salvi e Massimo Villone migliorò molto l’articolato che – anche per questo – fu bloccato dal centrodestra.

La legislatura si stava concludendo. Certamente l’Ulivo dell’epoca non si battè adeguatamente, a causa della brutta miscela tra compromessi e sottovalutazione della potenza del mezzo televisivo. Fu una colpa imperdonabile, appunto, e quel peccato originale si è trascinato fino ad oggi.

C’ero e quindi mi assumo la parte di responsabilità che mi compete, benché – a parte i nomi già fatti – diversi di noi avessero espresso sul tema dei media ben altre ipotesi. Già quando nel 1995 Paolo Sylos Labini lanciò un appello (si fece un convegno) per l’estensione dei casi di ineleggibilità della legge del 1957 ai concessionari televisivi.

Qualche nome della pattuglia degli sconfitti: Eugenio Duca, Michele Giardiello, Beppe Giulietti. Furio Colombo ne fece persino il punto chiave della sua campagna elettorale e riprese il filo del discorso con la proposta depositata al Senato nel 2006, dopo averne fatto un «tormentone» dell’«Unità» quando fu direttore di quel quotidiano.

La colpa di allora fu nel non averne fatto il centro della lotta politica, per un senso di disciplina che va amaramente collocato nel tempo. Nella politica odierna sembra lunare. Del resto, non ci furono né grandi campagne, né girotondi (arrivarono dopo), né piena coscienza.

Ora non è così, e per questo risalta la vaghezza del capitolo sulla materia del «Contratto» tra Lega e 5Stelle. Perseverare è sempre diabolico.

Le stesse responsabilità, a mia memoria, non furono di qualcuno in particolare, bensì collettive (e ovviamente individuali) dei diversi gruppi dirigenti. Ed è ancora più grave.

La verità spesso è meno letteraria ma è pur sempre il racconto della realtà.

Vincenzo Vita